Una diga sull'Elwha River, Washington, attualmente in fase di smantellamento (foto: Wikimedia Commons) |
Avrei voluto scrivere questo post poco tempo dopo quello
riguardante l'impatto delle dighe sugli ecosistemi fluviali, che potete
trovare qui: Una diga, mille impatti
Meglio tardi che mai, comunque. Sono ancora in tempo a
inserire un link, dove potete trovare una serie di video del National Park
Service del Ministero degli Interni USA. I filmati documentano passo per passo
un processo di restaurazione ambientale “da manuale” tuttora in corso, riguardante il
fiume Elwha, nello stato di Washington. Ecco qua: Elwha River Restoration
Per questo dibattutissimo progetto, il più grande che abbia
mai avuto per oggetto la rimozione di una o più dighe, sono stati stanziati dal governo ben
350 milioni di dollari. Una cifra niente male.
Nel primo post sulle dighe, avevamo analizzato quali
fossero gli impatti di queste opere sugli ecosistemi fluviali. Ne era uscito un
quadro piuttosto serio, evidenziando come la regimazione dei fiumi finalizzata
al controllo delle piene, della produzione energetica e, soprattutto, alla creazione di scorte d'acqua, in
quest'era di cambiamento climatico, sia spesso necessaria, ma al contempo
fortemente invalidante per gli equilibri biologici dei fiumi ed il benessere
dei loro abitanti, a cominciare dai pesci.
I fiumi della
costa occidentale del Nord America, che sfociano nell'Oceano Pacifico, ospitano
un gran numero di specie ittiche, tra le quali i salmoni e le trote del genere Onchorhynchus. Ben sette di queste specie (chinook, coho, chum, sockeye, pink salmon, steelhead, coastal cutthroat trout), più due di Salvelinus (bull trout e dolly varden), sono i salmonidi
migratori naturalmente presenti nel fiume Elwha, tutti in crisi più o meno
profonda a causa della costruzione delle due dighe che impediscono loro il
raggiungimento dei letti di frega situati nella parte alta del corso d'acqua. I
lavori per la rimozione della prima diga iniziarono nel settembre 2011 e già a
marzo 2012 il lavoro era stato completato, ristabilendo parte della continuità
longitudinale del corso d'acqua.
Un'immagine satellitare dell'Elwha river, che mostra l'immensa quantità di sedimento fine rimasta in loco dopo lo svaso di una delle due dighe |
A breve termine, la rimozione di una diga comporta alcuni
danni all'ecosistema fluviale, causati principalmente dal rilascio dell'enorme
quantitativo di sedimenti accumulati sul fondo dell'invaso artificiale.
Sedimenti fini in grado di soffocare gli organismi viventi e che, molto spesso, contengono anche sostanze inquinanti di varia
natura depositatesi negli anni, le quali vengono nuovamente mobilitate. La fase
di svuotamento, pertanto, deve essere svolta molto gradualmente e seguendo
precise norme, al fine di non causare un disastro ecologico.
Attualmente, la diga sul fiume Elwha si trova in questa
fase, in attesa che venga completata la rimozione del secondo sbarramento,
situato a monte, che sortirà effetti analoghi. Ma che dire invece degli effetti
a lungo termine?
Sono stati effettuati diversi studi per verificare i presunti
benefici derivanti dal ripristino della continuità e del regime naturale dei
fiumi laddove grandi dighe siano state smantellate. I risultati sono
confortanti: l'habitat riprende la sua naturale variabilità, la diversità degli
organismi acquatici aumenta, le specie ittiche migratorie tornano a riprodursi
laddove erano date per scomparse.
Questo è lo scenario che si spera di recuperare nel fiume
della West Coast. Per favorire il ritorno delle pregiate specie di salmonidi,
perfino la popolazione nativa S’Klallam, le cui tradizioni sono legate alla
pesca fin dall’antichità, e che da sempre si era battuta per lo smantellamento
delle dighe, si è auto-sospesa il diritto alla pesca per cinque anni.
I motivi per rimuovere una diga possono essere di varia
natura: i principali riguardano la fatiscenza della struttura, e dunque la necessità
di messa in sicurezza della stessa, e l’inefficienza energetica dell'impianto
idroelettrico associato. Il caso dell’Elwha non fa eccezione, visto che
normalmente i benefici di natura ecologica derivanti da queste operazioni non
sono, di per sé, considerati prioritari per procedere alla rimozione. Certo è
che il ripristino di risorse alieutiche importanti dal punto di vista economico
rappresenta un ulteriore incentivo, come nel caso, ad esempio, di due grandi
dighe nel bacino della Loira, in Francia, rimosse anni addietro per favorire il
ritorno del salmone atlantico. Il paese più virtuoso in questo senso, tuttavia,
restano proprio gli Stati Uniti, con oltre 100 piccole dighe rimosse (sotto i
15 metri di altezza), oltre al crescente numero di grandi sbarramenti
abbattuti.
Condit Dam Removal Explained from Andy Maser on Vimeo.
In Italia non abbiamo salmoni, che ovunque siano presenti rappresentano importanti “specie-bandiera” ai fini della restaurazione ambientale, e ben poco resta delle originarie popolazioni di salmonidi migratori dei laghi prealpini, ovvero le trote lacustri autoctone che anticamente risalivano gli immissari per la frega.
Condit Dam Removal Explained from Andy Maser on Vimeo.
In Italia non abbiamo salmoni, che ovunque siano presenti rappresentano importanti “specie-bandiera” ai fini della restaurazione ambientale, e ben poco resta delle originarie popolazioni di salmonidi migratori dei laghi prealpini, ovvero le trote lacustri autoctone che anticamente risalivano gli immissari per la frega.
Pertanto, sul nostro territorio sarebbe difficile
convincere le amministrazioni a procedere con il ripristino del regime naturale
dei fiumi per la “sola” causa ecologica, in assenza di specie di alto valore
economico. E' altresì vero che le nostre acque soffrono pesantemente a causa
dell'invasione di specie alloctone. Come evidenziato nel primo post, gli
alloctoni sono spesso avvantaggiati dalla regimazione artificiale dei fiumi.
Ripristinare il regime naturale di alcuni corsi d'acqua, pertanto, potrebbe
facilitare il recupero delle relative comunità ittiche originarie.
Noi, nel nostro piccolo, non possiamo far altro che
augurarci un lento ma progressivo cambiamento nella sensibilità diffusa
relativamente a queste tematiche, illudendoci magari che la nostra modesta
azione divulgativa rappresenti un contributo a questo processo. Le rivoluzioni
partono sempre dal basso: l'opinione di noi pescatori, in questi casi, si può
considerare fondamentale.
Bibliografia essenziale:
Bednarek, 2001
Wunderlich et al., 1994
http://www.nature.com/news/fish-return-to-undammed-elwha-river-1.10948
Bednarek, 2001
Wunderlich et al., 1994
http://www.nature.com/news/fish-return-to-undammed-elwha-river-1.10948
6 comments:
Ciao, innanzitutto ti faccio i complimenti per il blog, che seguo sempre. Questo articolo mi è molto piaciuto. Ti porgo una domanda inerente alla parte finale, quella sull'Italia. Io abito vicino a 2 dighe su 2 bei fiumi, mi hanno sempre fatto sognare i racconti dei vecchi sugli storioni che un tempo qui abitavano. Mi sai dire qualcosa sulla presenza dello storione ladano nell'alto adriatico in epoca storica? La sua estinzione può essere collegata alle dighe che sono state costruite ovunque nei grandi fiumi? Grazie mille Damiano.
Ciao Damiano, grazie per gli apprezzamenti.
Le ultime segnalazioni di storione ladano (Huso huso) nei bacini afferenti all'Adriatico risalgono ai primi anni '70, ma trattandosi di una specie molto longeva, è possibile che non si avesse più riproduzione già da tempo. Le cause principali dell'estinzione sono senz'altro la pesca insostenibile (questa specie produce la qualità più pregiata di caviale) e l'impossibilità di raggiungere i letti di frega, a causa degli sbarramenti, come giustamente hai suggerito. Attualmente la specie è considerata a rischio critico di estinzione, essendo note due sole popolazioni riproduttive rimaste, una nel Danubio e una nell'Ural. Lo stesso vale per lo storione comune (Acipenser sturio), un tempo diffuso in gran perte dell'Atlantico nordorientale, attualmente ridotto ad un unico nucleo potenzialmente riproduttivo nel bacino della Garonna, dove tuttavia non si registra attività riproduttiva da quasi vent'anni, e la popolazione rimasta sopravvive in gran parte grazie allo stoccaggio con materiale d'allevamento :-(
Ti ringrazio molto per la risposta... Da parte tua ritieni possibile un'ipotetica reintroduzione dello storione ladano nell'alto adriatico o è solo fantascienza?
Prima di tentare qualsiasi reintroduzione bisognerebbe essere abbastanza certi che le cause dell'estinzione non sussistano più, e non mi pare questo il caso. Nel bacino del Po sopravvive a stento la terza specie di storione originariamente presente, Acipenser naccarii, che è stato anche oggetto di un progetto Life per la sua reintroduzione. Non è noto, però, se la specie sia tornata a riprodursi nel Grande Fiume.
Riguardo allo storione europeo (sturio) ci sono due nuclei riproduttivi in cattività. Uno in germania e uno in francia, provenienti entrambi dallas popolazione della Garonne.
L'ultima riproduzione naturale risale al 1995 e, a meno di qualche sorpresa, ci vorranno altri 15-20 anni prima che i programmi di reintroduzione diano frutto.
Saluti dal meeting per la reintroduzione dello storione del Baltico in Varsavia
Come il famigerato cacio sui maccheroni ;-)
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