L'attuale record mondiale di carpa, Scar, pescata da John Bryan. Quasi 45 chili di carpa. Un record che tutti vorrebbero emulare, ma a quale costo?
Questo articolo e' rimasto in gestazione per troppo tempo ed e' ora di pubblicarlo.
Anche se rischia di alimentare un acceso dibattito ormai sopito sono convinto che sia un bene parlarne e diffondere un'informazione serena e trasparente su una delle questioni piu' controverse del mondo della pesca.
Chi e' esperto di carpfishing sa che questo tipo di pesca, nato, se cosi' si puo' dire, negli anni '80 con lo sviluppo di montature ed attrezzatura specifici, e' un'evoluzione di tecniche di pesca piu' semplici gia' in uso in precedenza.
Questa nuova tecnica ha originariamente come scopo principale quello di selezionare la cattura della carpa rispetto a quella di altre specie. Ma un altro aspetto ricercato dalla maggior parte dei pescatori e' la selezione delle catture di taglia.
La taglia di una carpa "trofeo" e' cresciuta progressivamente negli anni e soprattutto dagli anni '90 a questa parte catturare una carpa "over X kg" e' diventato l'obbiettivo primario; un concetto aiutato e diffuso dai media di settore.
Come le aziende produttrici si sono unite ed hanno contribuito a questa richiesta cosi' hanno fatto anche i laghi di pesca sportiva. Nacque cosi' il bisogno di avere delle carpe di grossa taglia nel proprio laghetto per attirare clienti appassionati di questa tecnica.
Ma queste carpe non sono disponibili per l'acquisto nei vari allevamenti. Il tempo necessario per crescere una carpa fino alla taglia trofeo, anche ai ritmi intensivi degli allevamenti, e' troppo lungo. Oltre che in termini di tempo anche il costo potrebbe lievitare tanto che l'allevatore rischierebbe troppo, e nessuno e' disposto a fare investimenti troppo rischiosi.
Ecco che se la domanda non puo' essere soddisfatta legalmente si trovano strade illegali per farlo. Ecco il problema delle "carpe volanti".
C'e' un meccanismo perverso nella mente umana. Non si sa ne' il perche' ne' il percome ma spesso anche le persone piu' intelligenti spengono il cervello in alcune occasioni.
Sia una questione di comodo o una questione di meccanismo "salvavita" il fatto rimane.
Di esempi di questo fenomeno ne e' pieno il mondo ed il mondo della pesca e dei pesci non fa eccezione. Si fa molto prima a stupirsi di un'immagine e a rispedirla a tutti i propri amici che a chiedersi se questa sia vera oppure no.
A volte, come abbiamo gia' visto, anche l'incredibile puo' essere vero. Occorre quindi tenere sempre la mente aperta a tutte le possibilita' (ma non troppo, o il cervello rischia di cadere) ma occorre ancora di piu' verificare rigorosamente il piu' possibile tutte le informazioni che troviamo, tanto piu' se provengono dalla rete.
Il principio generale e': affermazioni incredibili richiedono prove altrettanto solide.
In molti di voi avranno gia' visto questa fotografia che ritrae un luccio con due corpi ed una testa sola. E' una foto vera? Un fotoritocco? Il prodotto della fantasia, della natura o di una burla ben architettata?
La famosa foto dei "lucci siamesi" che circola in rete ormai dal 2001
La risposta è abbastanza facile:
accumulare una riserva d’acqua, controllare il regime dei fiumi, creare nuovi spazi
ricreativi, eccetera. Non ultimo, il fatto di produrre energia idroelettrica,
fonte di per sé assolutamente pulita, priva di emissioni di CO2 o sostanze
inquinanti.
Ci sono conseguenze negative che
scaturiscono dalla costruzione di una diga?
Facile anche questo, la risposta è
sì.
Più in dettaglio: le dighe sono
dannose per i pesci o li favoriscono in qualche modo?
Esiste una relazione tra
alterazione idrologica e invasioni di specie alloctone?
Perché, spesso, le aspettative
relative alla pescosità negli invasi artificiali non trovano un riscontro costante?
Qui di seguito tenteremo di
rispondere a queste ed altre domande.
Dato che l’effetto più importante
di una diga sul corso d’acqua che la ospita è l’alterazione delle portate, cominciamo
con alcuni principi fondamentali che riassumono l’importanza del regime
idrologico, cioè l’andamento annuale delle portate di un fiume. I principi sono
i seguenti:
1 - Il regime di un fiume ne
caratterizza in maniera determinante l’habitat fisico e la composizione della
comunità biologica.
2 - Il ciclo vitale degli organismi
acquatici è scandito dalle portate dei fiumi
3 - La connettività tra le varie
zone di un fiume deve essere preservata
4 - Le alterazioni del regime
idrologico favoriscono l’invasione di specie alloctone
I concetti, presi singolarmente, sono
abbastanza chiari, ma vediamo di approfondire alcuni aspetti che ne conseguono.
Tonno rosso, una specie al vertice della piramide trofica (Foto: Leonardo Muto - Francesco Paolini)
Si dice che la maggior parte delle sostaze tossiche che assumiamo con il cibo provenga dal pesce.
In particolare ci raccomandano di consumare basse quantità di specie come tonno e pesce spada in quanto, trattandosi di predatori al vertice della piramide trofica, si fanno carico di tutte le sostanze che si trovano ai livelli inferiori, accumulandone grandi quantità nei propri tessuti. Questo fenomeno prende il nome di biomagnificazione, vale a dire l'aumento di concentrazione di una sostanza dalla preda al predatore.
Ma è proprio vero tutto ciò? C'è differenza, in termini di tossicità, tra mangiare un chilo di sardine o un chilo di tonno, a parità di qualità delle acque? La differenza senza dubbio c'è, ma è necessario fare delle distinzioni che vedremo tra poco.
Un altro quesito da porsi è se i pesci siano realmente più tossici di altri organismi. Tranne alcune eccezioni, la risposta è sì, o almeno lo sono al pari di altri organismi acquatici. Ciò è dovuto al fatto che il contatto tra i tessuti e le sostanze presenti in acqua è garantito dalle branchie, come vedremo oltre, e dalla capacità di trasporto dell'acqua stessa.
Ultima questione: ma è possibile che questi benedetti pesci si riempano di metalli pesanti, pesticidi e quant'altro in quantità tale da provocare avvelenamenti di massa, come nel celebre caso di Minamata (http://it.wikipedia.org/wiki/Malattia_di_Minamata), ed essi stessi non risentano affatto di tutto ciò?
Continuate a leggere e troverete le risposte!
Cosa fareste se il futuro della pesca nel vostro paese dipendesse da una decisione drastica?
La storia di oggi e' una storia tragica, una di quelle che non vorreste mai sentire ma che devono essere raccontate e conosciute.
Un "semplice" parassita
Gyrodactylus e' un piccolo organismo vermiforme appartenente ai Platelminti (vermi piatti). Come molti Platelminti anche Gyrodactylus fa una vita parassitaria, nutrendosi della mucosa e della pelle di pesci di acqua dolce. Per farlo si attacca alla pelle dei pesci tramite una ventosa uncinata posta nella parte posteriore del corpo e poi si inarca per mettere in contatto la bocca con la pelle. A questo punto inietta enzimi digestivi che dissolvono pelle e muco per poi riaspirarli e nutrirsene.
E' abbastanza piccolo da non essere visibile ad occhio nudo ma lo diventa quando ci sono parassitosi intense, dato che i grappoli di parassiti appaiono come macche biancastre.
Una matrioska, una bambola russa in legno che ne contiene altre piu' piccole.
Le parassitosi intense avvengono perche' questo organismo funziona come una matrioska, l'adulto si riproduce generando una copia esatta di se stesso, gia' adulta e completamente funzionale. Questa copia (come il genitore) ha gia' dentro di se un'altra copia, pronta a maturare, con all'interno un'altra copia in maturazione e cosi' via..
Distinguere tra varie specie di Gyrodactylus non e' facile nemmeno per gli esperti del campo.
In piccole quantita' e' presente, assieme ad un gran numero di altri parassiti, sul corpo di molti pesci, specialmente i salmonidi e specialmente sui salmoni atlantici (da cui il nome specifico salaris).
Poco tempo fa avevamo parlato di lamprede, in un post in cui le definivamo "pesci molto particolari". Anzi, come avevamo precisato, il termine "pesci" va piuttosto strettino a degli animali privi di mascelle, con bocca a ventosa, un'unica narice, pinne pari assenti, gran parte dei quali conduce vita parassitica succhiando il sangue ad altri pesci.
Possiamo tuttavia trovare qualche altra bestiaccia che susciti ancora più disgusto? Certamente! Si tratta, per l'appunto, degli organismi più imparentati con le lamprede tra quelli attualmente viventi: le missine.
Questa classe di agnati è formata interamente da specie marine, distribuite in gran parte dei mari del globo, per lo più a profondità rilevanti. A differenza delle lamprede, non hanno mai colonizzato le acque dolci, in primis a causa dell'incapacità di effettuare l'osmoregolazione: le missine, infatti, sono pressoché gli unici vertebrati isosmotici rispetto al mezzo in cui vivono. In poche parole, il loro corpo presenta lo stesso grado di salinità dell'acqua in cui sono immersi.
Gli occhi delle missine sono strutture fotosensibili molto semplici, incapaci di formare immagini ed utili solo a distinguere la luce dal buio. Altra stranezza tra i vertebrati acquatici, il fatto di aver perso (secondariamente, si presume) l'organo della linea laterale. Lungo i fianchi sono presenti altresì una serie di pori la cui funzione, affascinante ed orribile, sarà spiegata tra poco. Già il fatto che queste creature possiedano un sistema circolatorio dotato di ben cinque cuori è tutto un programma.
Le missine sono animali bentonici, che vivono sul fondo del mare scavando tane nel substrato molle. In genere si trovano gruppi numerosi di missine in sistemi di tane vicine tra loro. L'alimentazione si basa principalmente su invertebrati, pesci morti e cadaveri di varia natura, anche umana. O anche su animali non morti, che magari non si sentono troppo bene, specialmente quando vengono assaliti ed infestati da uno sciame di missine. Non è pertanto corretto definire la missina un parassita, come talvolta si legge: è più propriamente uno spazzino, che occasionalmente sa procurarsi fonti di cibo alternative.
Se un grosso pesce malandato si imbatte nel territorio delle missine, queste gli si avventeranno addosso penetrando nel corpo del malcapitato da tutti gli orifizi disponibili, specialmente le aperture branchiali. A questo punto entra in gioco la funzione dei pori laterali. Da qui infatti viene secreta una sostanza proteica concentrata in grado di assorbire all'istante un'immensa quantità di acqua, producendo così una massa impressionante di muco appiccicoso. Questa capacità "magica" delle missine è valso loro il nome anglofono di hagfish (pesce-strega). Un secchio d'acqua con una missina dentro si tramuta all'istante in un secchio di muco. Qui di seguito potete farvi un'idea di quello di cui sto parlando. Sconsigliato ai soggetti di stomaco sensibile...
La strategia di caccia di questi esseri fantascientifici è la seguente: penetrano nella faringe della preda e la soffocano producendo quantità spropositate di sostanza mucosa, finendo così per ucciderla e divorarla dall'interno. Come visibile nel filmato, queste secrezioni hanno anche una funzione difensiva, ma non è finita qui.
Il video presso questo link mostra sia l'efficacia dell'esplosione istantanea della massa mucosa contro i predatori, sia l'utilizzo della stessa per la cattura attiva di una preda affossata nella sabbia, la quale viene letteralmente soffocata dall'esterno: http://www.inkblood.net/article-video-c-est-du-slime-de-myxine-87475302.html
Perfino le feci fuoriescono avvolte in una capsula mucosa, la cui funzione rimane ancora sconosciuta.
Nonostante prive di mascelle, le missine sono dotate di acuminati denti cornei in grado di strappare brandelli di carne. Come visibile in foto d'apertura, questi denti poggiano su una placca cartilaginea mobile simile ad una mandibola. La bocca è circondata da una sorta di tentacoli carnosi.
Una curiosità ulteriore è la capacità di agganciarsi alla preda e stapparne un pezzo annodandosi su se stesse e facendo leva sul proprio corpo. La stessa tecnica viene usata per liberarsi dalla presa di un predatore:
Nonostante tutto, le missine sono apprezzate in tavola in diversi paesi del mondo. Buon appetito...
Quando si parla di specie ittiche invasive, la nostra mente subito corre a
siluri, pesci gatto, aspi, barbi europei e quant’altro. Giusto. L’introduzione,
volontaria o meno, di queste specie,
spesso e volentieri ha contribuito a mettere in crisi le comunità ittiche delle
nostre acque interne.
Ma se spostiamo la lente d’ingrandimento su ambienti meno blasonati rispetto
ai grandi fiumi e laghi, in quanto meno produttivi dal punto di vista
pescasportivo ed economico, ci troveremo di fronte a ecosistemi estremamente
interessanti che, al pari di altri, non sono riusciti a sfuggire al problema
delle invasioni biologiche.
Gli stagni retrodunali sono oasi di biodiversità notevolissime, purtroppo in continua rarefazione
Lungo le coste del Mediterraneo si trovano, laddove non siano avvenute
bonifiche selvagge, zone umide uniche e fragili, che rappresentano oasi di
biodiversità tra le più preziose in assoluto. Gli stagni retrodunali adiacenti
alle spiagge ospitano fauna e flora esclusive di questi ambienti per certi
versi estremi, tanto per riallacciarsi al recente post di Milo: si tratta di
paludi in cui quantità e qualità delle acque dipendono, a seconda delle
circostanze, dai tassi di evaporazione, dalle piogge, dalle mareggiate e dai
livelli delle falde acquifere sottostanti. Variazioni notevoli si riscontrano
anche nelle temperature, nel quantitativo di ossigeno disciolto, nella
concentrazione di nutrienti, eccetera. Tanto per citare gli esempi più noti, qui
possiamo incontrare piante adattate all’eccesso di sale nel suolo (alofite),
che hanno fatto del sodio il principale soluto intracellulare, come la Salicornia, oppure crostacei adattati
alle variazioni estreme di salinità delle acque, che per di più producono, per partenogenesi,
uova capaci di resistere per anni al disseccamento, come Artemia salina (ben nota agli acquariofili come cibo per pesci
“resuscitabile”).
Un bellissimo maschio di nono (Aphanius fasciatus) del Parco Regionale della Maremma (Gr) foto: Massimiliano Marcelli
I ciprinodontidi, conosciuti anche come “killifish”, sono una famiglia di piccoli
pesci dai colori vivaci, che ha fatto dell’adattamento a questi ambienti,
inospitali alla maggior parte delle specie marine e d’acqua dolce, la chiave
del proprio successo evolutivo. L’origine della distribuzione attuale di queste
specie nell’area mediterranea si fa risalire al periodo Messiniano
(circa 5 milioni di anni fa), che vide il nostro mare andare incontro ad una
gravissima crisi di salinità, dovuta alla temporanea chiusura dello stretto di
Gibilterra, con conseguente parziale disseccamento del bacino. I ciprinodontidi
attuali mostrano infatti, come caratteristica più cospicua, una spiccata
eurialinità che li rende capaci di vivere e riprodursi tanto nelle acque dolci
e salmastre quanto in quelle iperaline, tollerando concentrazioni di NaCl fino
ad oltre 5 volte quella dell’acqua di mare. Il genere Aphanius è quello più diffuso nel mediterraneo, con tre specie distribuite
tra Europa, Nordafrica e Medioriente.