All'eta' di circa 17 anni avevo gia' divorato qualche centinaio di romanzi di fantascienza. Scelta all'inizio dettata per lo piu' da questioni economiche, visto che si potevano trovare ottimi libri per pochi spiccioli, ma poi sfociata nell'amore di una vita.
Durante l'ennesimo viaggio estivo, in un'estate di quelle che ammorbidiscono l'asfalto, comprai l'ennesimo libro nell'ennesimo cestone delle offerte di un anonimo autogrill. Fu la svolta.
Come al solito si trattava del secondo libro di una serie (non si trovavano mai serie complete o i libri primi) e non gli avrei dato due lire dalla copertina. Ma dentro e' stata una rivoluzione, una completa ecologia aliena e la sua invasione del pianeta.
Era un libro del ciclo degli Chtorr, scritto nello stile un po' machista di David Gerrold e fermatosi al 4 volume. Li ho recuperati tutti negli anni successivi, tra una bancarella dell'usato e uno scambio.
E la passione per questo generre speciale non si fermo' la' ma piuttosto continuo' con altri libri di Niven, Aldiss, Vonnegut, Silverberg e molti altri. Solo molto piu' tardi scoprii che molti di questi autori si avvalevano della consulenza di scienziati serissimi, come il Dr. Cohen, con la passione per l'esobiologia.
E' una passione che e' continuata fino ad ora e che segretamente coltivo con regolarita'.
Come potevo resistere quindi, quando i ragazzi del Carnevale della Biodiversita' mi hanno chiesto di scrivere un post a riguardo? E come potete resistere voi a non leggere tutti gli altri post dei blog aderenti?
Ecco il mio racconto...
"Che tempo di merda...
Non si puo' nemmeno bere in pace.
Era una di quelle tempeste monsoniche, risultato della grande opera di terraforming in atto ormai da 4 decenni. La poca atmosfera, molto labile, si muove facilmente lungo i grandi pianori, raccogliendo grandi nubi della finissima polvere rossastra e facendole girare e girare e girare..in tempeste che durano mesi di fila. Mesi di vento ululante che ti entra nel cervello.
Non c'e' compartimento stagno che tenga, e quella polvere e' talmente fine che si infila dappertutto, nei vestiti, nella barba, e perfino nel mio whisky, dandogli un retrogusto ferroso. All'inizio era facile mantenere una pressione interna maggiore di quella esterna ma piu' l'atmosfera si inspessisce piu' diventa difficile.
Non si puo' nemmeno bere in pace.
E non sono uno che beve per scherzo, bevo per ubriacarmi, bevo per dimenticare.
Vorrei dimenticare questo pianeta rosso, dimenticato da Dio, questi habitat di colonizzazione, questo entusiasmo ormai spento e l'atmosfera di disperazione che si respira per le strade.
Perche' poi colonizzare Marte? Qua non c'e' niente e non ci sara' niente per un altro centinaio di anni almeno.
Finiremo molto prima noi.
Un altro sorso.
Ormai la terra e' agli sgoccioli e l'umanita' deve espandersi o morire, come un cancro. Lasciate indietro tutte le reticenze del passato abbiamo ripescato il progetto Orione dal cestino delle idee "troppo pericolose". Era l'unico modo di portare in orbita i materiali per costruire colonie, navi e macchinari, e chissenefrega se la radiazione atmosferica e' aumentata, sai che novita'.
Abbiamo conquistato il sistema solare, ma a che pro? Di viaggi interstellari dopo tanti secoli nemmeno l'ombra, e qua non c'e' niente di abitabile. Andare oltre la fascia di asteroidi e' gia' un'avventura.
Due sorsi.
E che avventura. Dovrei saperlo bene io, visto che ero a bordo, anche se non pilotavo. Equipaggio scientifico, un ottimo termine per descrivere una persona sola. Ma d'altra parte c'era posto solo per 3 persone in tutto. Il resto dello spazio occupato dall'enorme mole di apparecchiature necessarie.
Tre sorsi.
Non siamo nemmeno mai sbarcati. La maggior parte del lavoro l'hanno fatto apparecchiature semi-automatiche. Un intero modulo della nave attrezzato come laboratorio, mobile grazie alle sue innumerevoli zampe, autosufficiente potenzialmente per anni. E noi dall'orbita a sbrigare tutte le funzioni che non potevano essere programmate. Come guidare le sonde o interpretare le immagini.
Un sorso. La bottiglia e' gia' vuota, tempo di aprirne un'altra.
Se 400 e qualcosa anni fa ci sembrava un'impresa aver trovato vita batterica nel lago Vostok chissa' cosa direbbero i nostri antenati vedendoci adesso. Niente di meno della superficie di Europa, che sta all'Antartico come la Siberia stava alle Maldive. Certo, quando esisteva ghiaccio sull'Antartico e prima che Maldive e Siberia andassero sott'acqua, ovvio.
Superficie, per interposta persona di una specie di cimice di lega d'acciaio sospinto da energia atomica, ma pur sempre un passo da gigante per l'Umanita'.
Un altro sorso.
Lo sapevamo che non sarebbe stato facile, il secondo stadio della sonda ci ha messo qualche mese (locale) per passare le centinaia e centinaia di metri di ghiaccio che lo separavano dall'oceano. Ad un certo punto avevamo perfino cominciato a pensare che tutte le sonde si fossero sbagliate ma alla fine era la'. Un oceano liquido, sotto a pochi chilometri di ghiaccio, mantenuto liquido dalla pressione e dalle forze di marea.
Il secondo stadio ha lasciato il posto al terzo stadio, una sonda equipaggiata con chilometri di cavo e potenti fari.
Un bicchiere, tutto d'un fiato.
Non c'erano colori, non c'era luce, non c'era niente, solo buio. La connessione con il primo stadio trasmetteva senza statica, ma con una qualita' pessima per lo standard.
Qualche goccia attraversava il campo visivo, piccole micelle perfettamente rotonde, oleose, che affondavano lentamente. Sembravano partire da una patina marroncina che copriva tutta la superficie inferiore del ghiaccio, prendemmo campioni. Lasciammo scendere la sonda a velocita' sostenuta ma costante.
Un altro bicchiere.
Era un oceano in gran parte vuoto e per un certo tempo un senso di disperazione mi aveva preso il cuore in una morsa di ghiaccio. Tutto lo sforzo, tutta la tecnologia, per arrivare fino a qui e trovare qualche goccia di sporco?
Ma mi sbagliavo. A qualche chilometro di profondita' finalmente c'era qualcosa sullo schermo. Una specie di noce di cocco trasparente, con una serie di cilia in continuo movimento. La guardammo per ore, dandoci gran pacche sulle spalle e mangiando la cioccolata che ci eravamo portati per quest'occasione. La guardammo mentre quella inglobava le micelle, in un moto continuo e caotico, insensibile alle nostre luci. Poi la sorpresa, vedere alcune micelle, stavolta di colore bianco, salire lentamente verso la superficie, ancora piu' rare di quelle marroni.
Stavolta mi serve piu', mi attacco alla bottiglia, ne scolo quasi mezza.
In due mesi di esplorazione trovammo pochi organismi di piu'. Oltre alle noci, che chiamammo coccoplankton, c'erano i polpimbuti, delle creature simili a cefalopodi che raccoglievano micelle grazie a delle membrane stese tra i tentacoli, la superficie interna una brulicare di cilia per trasportarle verso la bocca.
O le caravelle abissali, simili a gigantesche reti neurali celenterate, immote a mezz'acqua, in attesa che qualche creatura tocchi uno dei loro filamenti che si stendono per centinaia di metri in tutte le direzioni. E i pesci, poco piu' che cordati per la verita', con le movenze di un serpente al rallentatore e le bocche larghe ma senza mascelle. In mezzo a tutto le micelle marroni, sempre piu' rare verso il fondo, sicuramente mangiate prima di arrivarci, e le micelle bianche, sempre piu' frequenti invece.
Una catena alimentare minima, dove quasi tutti mangiavano quasi tutti, dove i colori o la bioluminescenza non servono. Niente di meraviglioso o neanche bello, nel senso proprio del termine.
Un altro paio di sorsi, a gola aperta. Ormai scende come acqua.
Ma bastava.
Appena il primo video fu trasmesso e ritrasmesso sulla Terra la macchina di conquista si mise in moto. Per quanto piccola questa luna poteva costituire la nuova casa per qualche milione di persone, a patto di portarcele. E di motivi per portarcele ne abbiamo a sufficienza.
A nessuno interessano i miei appunti, le mie analisi. A nessuno interessa sapere che l'intero fondo marino e' coperto da un unico organismo coloniale multicellulare, che ho battezzato leviatano, che sfrutta le basse energie termali per sopravvivere e produrre le micelle bianche, parte nutrimento e parte gameti. Le poche che sopravvivono al viaggio provvedono nutrimento e fertilizzazione per un organismo gemello, anch'esso con zone sessuate sparse, che si nutre del continuo movimento delle masse di ghiaccio. Un gemello che e' effetivamente geneticamente identico e che comunica a sua volta mandando micelle marroni. Chissa', forse hanno trovato modo di comunicare tra di loro, codificando l'informazione in proteine e molecole complesse.
Un sistema straordinario, fragile, la prima volta e forse l'ultima volta che troviamo vita su un altro pianeta (e dietro l'angolo per giunta!). Un ecosistema destinato a scomparire.
Bevo per dimenticare, per dimenticare una luna con il nome di una principessa della mitologia greca. Per dimenticare che ho dato inizio ad uno stupro che durera' centinaia di anni.
Mi attacco alla bottiglia ma...e' vuota. Con un occhio rigonfio di vene rossastre cerco qualche goccia rimasta sul fondo.
Ho visto cose...
Mi serve un'altra bottiglia..."
1 comments:
A breve posto su FB Muse...
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