domenica 12 febbraio 2012

Bioaccumulo e biomagnificazione: due miti da sfatare?

Tonno rosso, una specie al vertice della piramide trofica (Foto: Leonardo Muto - Francesco Paolini)

Si dice che la maggior parte delle sostaze tossiche che assumiamo con il cibo provenga dal pesce.
In particolare ci raccomandano di consumare basse quantità di specie come tonno e pesce spada in quanto, trattandosi di predatori al vertice della piramide trofica, si fanno carico di tutte le sostanze che si trovano ai livelli inferiori, accumulandone grandi quantità nei propri tessuti. Questo fenomeno prende il nome di biomagnificazione, vale a dire l'aumento di concentrazione di una sostanza dalla preda al predatore.
Ma è proprio vero tutto ciò? C'è differenza, in termini di tossicità, tra mangiare un chilo di sardine o un chilo di tonno, a parità di qualità delle acque? La differenza senza dubbio c'è, ma è necessario fare delle distinzioni che vedremo tra poco.
Un altro quesito da porsi è se i pesci siano realmente più tossici di altri organismi. Tranne alcune eccezioni, la risposta è sì, o almeno lo sono al pari di altri organismi acquatici. Ciò è dovuto al fatto che il contatto tra i tessuti e le sostanze presenti in acqua è garantito dalle branchie, come vedremo oltre, e dalla capacità di trasporto dell'acqua stessa.
Ultima questione: ma è possibile che questi benedetti pesci si riempano di metalli pesanti, pesticidi e quant'altro in quantità tale da provocare avvelenamenti di massa, come nel celebre caso di Minamata (http://it.wikipedia.org/wiki/Malattia_di_Minamata), ed essi stessi non risentano affatto di tutto ciò?
Continuate a leggere e troverete le risposte!
Il cammino di una sostanza all'interno di un animale comincia con l'assorbimento, il che avviene per contatto tra la sostanza e un tessuto; i pesci possono assumere un composto chimico in due modi: per ingestione o per diffusione attraverso le branchie. La sostanza in questione si diffonderà in tutto l'organismo grazie alla circolazione. Sia gli animali che le piante hanno sviluppato adattamenti per arginare l'azione tossica di determinati composti. Generalmente questi vengono sequestrati in tessuti dove non possono far danno, come il grasso, alcune proteine, le ossa, le foglie, eccetera, evitando che vengano raggiunte concentrazioni dannose negli organi vitali. E' proprio questo processo di accumulo che fa sì che un animale in buona salute possa contenere comunque concentrazioni di tossine pericolose per chi se lo mangia! La compartimentazione, tuttavia, non è l'unico rimedio: le sostanze tossiche vengono anche metabolizzate; in particolare quelle liposolubili vengono elaborate a livello del fegato per essere rese più idrosolubili e quindi più facilmente escrete, nel caso dei pesci principalmene attraverso le branchie.
Questo in parte spiega il perché del titolo di questo post: il bioaccumulo esiste eccome e si verifica puntualmente laddove sussistano le condizioni, ma non è un processo che va avanti finché l'animale non scoppia. L'organismo, a patto che la concentrazione di tossine nell'ambiente non sia immediatamente letale, riesce pian piano a detossificare, espellendo via via parte dei composti accumulati.
Uno studio effettuato su barbi e gobioni ha dimostrato come i giovani esemplari accumulino metalli a concentrazioni maggiori rispetto agli adulti
Ci tenevo a precisarlo perché mi sono trovato a parlare con un ecologo di fama internazionale (senza fare nomi) a cui spiegavo un fenomeno che ho osservato durante una mia ricerca: barbi e gobioni di piccola taglia mostravano concentrazioni di metalli pesanti nel muscolo più alte rispetto ai conspecifici più grossi. Il professore mi guardò in modo strano perché, non essendosi mai occupato direttamente di ecotossicologia, intendeva il fenomeno del bioaccumulo come un qualcosa di definitivo, per cui un pesce grosso doveva concentrare una gran quantità di sostanze inquinanti, ben più di un pesce piccolo. Ciò non avviene, tanto per cominciare proprio grazie alla detossificazione. Inoltre, i pesci piccoli hanno un metabolismo più veloce degli adulti e, proporzionalmente, assumono quantità di cibo maggiori, ingerendo con esso metalli pesanti ed altre sostanze tossiche. Inoltre l'accrescimento, più rapido nei giovani che negli adulti, potrebbe sottrarre energie al processo di detossificazione stesso.
Che dire invece del fenomeno della biomagnificazione? Si manifesta come una regola generale o si tratta di casi particolari? Andiamo con ordine.
Uno studio risalente ormai a parecchi anni fa, mostrava come, esponendo alle medesime concentrazioni di PCB (Poli-cloro-bifenili) una catena trofica ricostruita in laboratorio, costituita da alghe, rotiferi e larve di acciuga, i pesci fossero gli organismi che tendevano a concentrare maggiormente il composto tossico nei tessuti, mentre rotiferi e alghe seguivano a pari merito. Confrontando la concentrazione di PCB delle acciughe sperimentali con quelle di acciughe tenute a digiuno, non emergeva differenza alcuna. Quindi non si poteva imputare il fenomeno a biomagnificazione, bensì ad un processo di ripartizione acqua/organismo: la sostanza non era assorbita con il cibo, bensì  attraverso le branchie e la concentrazione del composto nei tessuti era correlata a quella presente nell'acqua. Faccio notare che non esiste alcuna contraddizione sul ruolo delle branchie: si tratta di organi permeabili attraverso cui molte sostanze vengono assorbite o escrete, finché non si raggiunge un equilibrio tra ingresso e uscita.
Studi svolti negli anni '80, in cui venivano messe a confronto le concentrazioni di PCB e DDT contenute nei tessuti adiposi di organismi appartenenti a livelli trofici differenti (zooplancton, seppie,  pesci e delfini), hanno messo in evidenza che i livelli di contaminazione rimanevano sostanzialmente invariati tra tutti gli organismi tranne che nei delfini, i quali presentavano concentrazioni fino a 100 volte superiori a quelli delle loro prede.
Il perché di ciò è abbastanza lampante: i delfini respirano aria atmosferica, pertanto non sono in diretto contatto con l'acqua e le sostanze in essa contenute. Quindi la detossificazione è molto meno efficace che in organismi branchiati: la biomagnificazione stavolta è reale. Lo stesso avviene per altri mammiferi marini e per gli uccelli che si nutrono di pesci. Questo rappresenta un grosso rischio per popolazioni come gli Inuit, la cui alimentazione si basa largamente su carne (e grasso) di cetacei.
Alla luce di tutto questo, quindi, possiamo mangiare tonno e pesce spada spensieratamente? Neanche un po'.
Il metilmercurio si accumula principalmente nella parte edibile del pesce, il muscolo
Abbiamo appurato che la biomagnificazione è un fenomeno raro, spesso apparente e per lo più di scarsa entità; tuttavia c'è una sostanza che fa eccezione: il metilmercurio, una molecola molto diffusa negli ambienti acquatici, nonché il responsabile della sindrome di Minamata. Questo composto del mercurio ha un pattern di accumulo molto peculiare, in quanto si lega agli aminoacidi solforati e si accumula stabilmente nei tessuti ricchi di proteine, come i muscoli, cioè la parte edibile dei pesci. In questo modo praticamente non è soggetta a detossificazione e non viene escreta. Il metilmercurio genera pertanto una biomagnificazione notevole anche tra i pesci: i grossi predatori marini ne contengono giocoforza concentrazioni elevate.
Se questo non bastasse, è ormai arcinoto che tonno e pesce spada sono specie ad alto rischio di estinzione (specialmente nel Mediterraneo) dovuta ad uno sforzo di pesca assolutamente insostenibile, pertanto a mio avviso da boicottare. Personalmente, un piatto di sardine alla piastra condite con aglio, olio e prezzemolo mi dà la stessa soddisfazione di una fetta di pesce spada, ed è anche una soluzione molto più economica ed ecosostenibile. Così come il tonno in scatola non ha lo stesso gusto dello sgombro in scatola, che non manca mai nella mia dispensa.
La via della sostenibilità esiste, basta solo avere la volontà di imboccarla.




5 comments:

Marco Milardi ha detto...

Bell'articolo Dr.Skazz!

Roberto 'Skazz' Merciai ha detto...

;)

Unknown ha detto...

seguo il tuo blog, a quanto pare sei il fratello biologo. Se ti va dà un'occhiata al mio! ciao!

Roberto 'Skazz' Merciai ha detto...

Sì, abbiamo qualche tratto in comune, almeno nella veste! Piacere di conoscere il tuo blog, lo seguiremo senz'altro.
A presto

Unknown ha detto...

Assolutamente d'accordo sul discorso ecosostenibilità. Inoltre sono sostanze che si accumulano nel grasso e, anche se si toglie la pelle, tonno e salmone rimangono pesci molto grassi e molto inquinati... da evitare. Per quanto riguarda la biomagnificazione, è evidente che si tratta di un fenomeno "didattico" e che (a mio modesto parere) non è sempre scientificamente vero ed applicabile. Tu l'hai spiegato molto bene, complimenti.

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