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domenica 23 ottobre 2011

Specie aliene e competizione: un caso da manuale


Quando si parla di specie ittiche invasive, la nostra mente subito corre a siluri, pesci gatto, aspi, barbi europei e quant’altro. Giusto. L’introduzione, volontaria o meno, di queste  specie, spesso e volentieri ha contribuito a mettere in crisi le comunità ittiche delle nostre acque interne.
Ma se spostiamo la lente d’ingrandimento su ambienti meno blasonati rispetto ai grandi fiumi e laghi, in quanto meno produttivi dal punto di vista pescasportivo ed economico, ci troveremo di fronte a ecosistemi estremamente interessanti che, al pari di altri, non sono riusciti a sfuggire al problema delle invasioni biologiche.

 Gli stagni retrodunali sono oasi di biodiversità notevolissime, purtroppo in continua rarefazione
Lungo le coste del Mediterraneo si trovano, laddove non siano avvenute bonifiche selvagge, zone umide uniche e fragili, che rappresentano oasi di biodiversità tra le più preziose in assoluto. Gli stagni retrodunali adiacenti alle spiagge ospitano fauna e flora esclusive di questi ambienti per certi versi estremi, tanto per riallacciarsi al recente post di Milo: si tratta di paludi in cui quantità e qualità delle acque dipendono, a seconda delle circostanze, dai tassi di evaporazione, dalle piogge, dalle mareggiate e dai livelli delle falde acquifere sottostanti. Variazioni notevoli si riscontrano anche nelle temperature, nel quantitativo di ossigeno disciolto, nella concentrazione di nutrienti, eccetera. Tanto per citare gli esempi più noti, qui possiamo incontrare piante adattate all’eccesso di sale nel suolo (alofite), che hanno fatto del sodio il principale soluto intracellulare, come la Salicornia, oppure crostacei adattati alle variazioni estreme di salinità delle acque, che per di più producono, per partenogenesi, uova capaci di resistere per anni al disseccamento, come Artemia salina (ben nota agli acquariofili come cibo per pesci “resuscitabile”).

Un bellissimo maschio di nono (Aphanius fasciatus) del Parco Regionale della Maremma (Gr)
foto: Massimiliano Marcelli


I ciprinodontidi, conosciuti anche come “killifish”, sono una famiglia di piccoli pesci dai colori vivaci, che ha fatto dell’adattamento a questi ambienti, inospitali alla maggior parte delle specie marine e d’acqua dolce, la chiave del proprio successo evolutivo. L’origine della distribuzione attuale di queste specie nell’area mediterranea si fa risalire al periodo Messiniano (circa 5 milioni di anni fa), che vide il nostro mare andare incontro ad una gravissima crisi di salinità, dovuta alla temporanea chiusura dello stretto di Gibilterra, con conseguente parziale disseccamento del bacino. I ciprinodontidi attuali mostrano infatti, come caratteristica più cospicua, una spiccata eurialinità che li rende capaci di vivere e riprodursi tanto nelle acque dolci e salmastre quanto in quelle iperaline, tollerando concentrazioni di NaCl fino ad oltre 5 volte quella dell’acqua di mare. Il genere Aphanius è quello più diffuso nel mediterraneo, con tre specie distribuite tra Europa, Nordafrica e Medioriente.