mercoledì 31 ottobre 2012

Pesca fantasma




No, non stiamo parlando di storie dell'orrore, anche se non e' un caso che l'articolo venga pubblicato in concomitanza con Halloween. E in un certo senso comunque e' un argomento che fa una certa sensazione.

La pesca fantasma, o ghost fishing in inglese, e' un termine che si riferisce specificamente alle attrezzature da pesca che, una volta smarrite, continuano a catturare pesci (ma non solo).

E' un problema che la grande maggioranza della gente comune ignora, e che addirittura viene ignorato anche dai pescatori stessi.



Una breve storia delle attrezzature da pesca

Non si puo' capire il fenomeno nella sua interezza se non  si parte dal principio.

La maggior parte delle attrezzature usate per la pesca sono delle varianti di archetipi che erano gia' in uso qualche migliaio di anni fa. Riscoperti periodicamente nell'arco dei secoli questi attrezzi sono sempre stati costruiti con materiali semplici e naturali: corde di canapa, giunchi, fibre vegetali.
Proprio per via dei materiali di costruzione la pesca era meno efficace e soprattutto richiedeva una costante manutenzione e riparazione delle attrezzature.

Nasse tradizionali in Papua Nuova-Guinea (foto@L.Tonkin)

Ma negli ultimi 50 anni sono stati fatti passi da gigante. Le nuove scoperte nel campo dei polimeri e degli acciai inossidabili hanno permesso di costruire attrezzi da pesca che oltre a costare molto meno richiedono molta meno manutenzione.
Le nuove attrezzature da pesca funzionano meglio e non serve pulirle periodicamente o ripararle anche se non sono attivamente danneggiate.

Ma cosa succede quando si perdono?

Nel passato una rete da pesca persa, magari incastrata in un reef, veniva subito colonizzata da organismi marini (che la rendono visibile e quindi meno efficace) e si decomponeva progressivamente fino a cessare di esistere nell'arco di breve tempo. I legacci che tenevano insieme i giunchi di una nassa si aprivano e sfaldavano, fino a far perdere la forma stessa della trappola.

Dei subacquei recuperano una rete perduta, assieme al suo contenuto (foto@Neptune911)

Oggi  invece i nuovi materiali non si decompongono e non arrugginiscono. Nasse, reti e quant'altro continuano a pescare, anche se non c'e' piu' nessuno a raccogliere.
Uccelli marini si tuffano per mangiare le carcasse di pesci e rimangono a loro volta impigliati, cosi' come cetacei di tutte le dimensioni che si avvicinano per nutrirsi.

Certo, una rete arrotolata ad uno scoglio non e' molto efficace, ma date le vite medie molto allungate il danno e' evidente. Indicativamente dopo 3 mesi una rete pesca ancora il 20% della sua capacita' normale, e dopo 27 mesi e' ancora al 6%. Questi numeri cambiano, ed anche molto, a seconda della zona in cui l'attrezzatura viene persa: generalmente minore e' la profondita' e minore il tempo necessario per distruggere e terminare la pesca.

A livello globale le NU hanno stimato che le attrezzature da pesca perdute costituiscano circa il 10% della quantita' totale di spazzatura presente in mare, qualcosa come 640 000 tonnellate. Nello specifico ogni zona e' caso a se' stante, in quanto la probabilita' di perdere o meno l'attrezzatura dipende molto dalle condizioni locali (o meteorologiche).

Ritorno alle origini

Ci sono sostanzialmente 3 modi per ovviare al problema.

Il primo, quasi ovvio, e' sviluppare attrezzature da pesca che non presentino questo problema. Questo vuol dire tornare a metodi di costruzione e materiali che permettano all'attrezzatura di degradarsi una volta perduta. Trovare soluzioni che permettano al tempo stesso di non ridurre l'efficacia e' senza dubbio una sfida, ma a volte basta sostituire solo alcune parti critiche, come con le nasse da aragosta.

Un'altro e' quello di impedire che le reti vengano perse, per esempio introducendo sistemi di marcatura (e sanzione) che colpiscano i vascelli meno attenti e negligenti.

Infine si puo' pulire attivamente il mare. Molte associazioni ambientaliste e no-profit concentrano la loro attivita' sui reef ed i relitti e rimuovono periodicamente le reti durante le immersioni. Esistono programmi sperimentali che finanziano i pescatori stessi per ogni rifiuto che riescono a recuperare e consegnare in porto.

Un grafico che mostra le quantita' di attrezzature da pesca rispetto ad altri tipi di rifiuti in Florida (foto@ Florida Department of Environmental Protection)

In piu' si puo' portare il problema a conoscenza del grande pubblico, e in questo anche il mio piccolo sassolino aiuta, si spera.

Non solo pesca professionale

Finora ho parlato di attrezzi "professionali" ma non pensiate che anche la pesca sportiva non abbia la sua bella parte di responsabilita'.

Una femmina di moriglione con un piercing artificiale, questa volta e' andata bene ma molti uccelli muoiono ogni anno in seguito a questo tipo di danno (foto@Karol Tabarelli de Fatis)

Innanzitutto all'interno dell'EU esistono paesi (come per esempio la Finlandia) in cui attrezzature normalmente considerate professionali vengono utilizzate regolarmente nella pesca ricreativa.

Ma soprattutto e' impressionante il numero di uccelli palustri e marini che vengono danneggiati da lenze, ami ed artificiali abbandonati e persi dai pescatori sportivi.

In questo caso spesso basta un piccolo gesto di civilta', portarsi a casa i propri rifiuti, lenze ed ami compresi.

1 comments:

Karol ha detto...

Bene, ci voleva.
Come Sezione di Zoologia dei Vertebrati del Museo delle Scienze di Trento abbiamo scritto un articolo sulla stampa locale affrontando il problema.
Purtroppo la foto di Moriglione non era l'unica che accompagnava lo scritto, ma era in compagnia a quella di un Tarabuso con le zampe intrappolate dalla bava, una Strolaga mezzana con un amo che gli spuntava da un bulbo oculare, un gabbiano con la zampa in necrosi causa filo sintetico, etc...decisamente Halloween!

P.S.
de-staccato-Fatis

Posta un commento