mercoledì 14 febbraio 2018

Run to the hills - alloctoni e acque degradate spingono gli autoctoni verso le colline (o all'estinzione locale) 2/2

Nel precedente articolo di questa serie avevamo visto quale fosse il contributo relativo delle specie alloctone nel condizionare le specie autoctone, anche a distanza di molti anni dall'invasione iniziale.

Ma e' tutto perduto? Si puo' fare qualcosa a riguardo?


Come sempre, le grandi generalizzazioni lasciano il tempo che trovano e occorre andare un po' sul pratico e nel dettaglio perche' le cose abbiano un senso concreto.


I dati ci sanno dire che alcune specie sembrano preferire determinate temperature e che le specie alloctone potrebbero preferire acque piu' calde.

Le specie a sinistra nel grafico (autoctone) si trovano in localita' con temperature dell'acqua piu' basse rispetto a quelle di destra (quasi tutte alloctone, tranne l'alborella)

Purtroppo, essendo diffuse nelle acque del piano, naturalmente piu' calde, e' facile che questa analisi sovrapponga fattori di distribuzione nello spazio a fattori puramente ambientali.

E' chiaro pero' come alcune specie autoctone siano piu' resistenti di altre all'invasione.

La distribuzione di alcune specie alloctone in rapporto al piu' invasivo tra gli alloctoni (il carassio). Si nota che l'alborella e la scardola sono le meno affette dalla presenza del carassio.

Probabilmente queste sono le specie piu' adatte all'ambiente del piano (hanno un vantaggio competitivo anche sulle altre specie autoctone) o comunque piu' flessibili e meno impattate dalla presenza di alloctoni.

Combinando i risultati di un'ulteriore analisi, si puo' ottenere una figura apparentemente insignificante ma in realta' molto informativa.

Distribuzione dei vari siti analizzati in rapporto ad altitudine e valori di Snest, una misura del grado di invasione di ciascun sito

All'atto pratico ci sono due zone interessanti in questo grafico, ma lo sono per due ragioni diametralmente opposte. Nella parte sinistra ci sono sono le localita' della pianura, altamente invase, mentre nella parte destra del grafico ci sono invece i siti meno invasi, le localita' di collina.

Cosa ci dice in effetti questa analisi?

Che ci sono siti dove sopravivvevano solo pochissime specie autoctone (spesso soltanto una, e con numeri esigui) mentre altri in cui c'erano pochissime specie alloctone (spesso soltanto una e con numeri esigui)
In sostanza l'analisi ci aiuta ad identificare quelli che potrebbero essere le localita' per intervenire sulla conservazione della biodiversita' autoctona, con azioni che dovrebbero essere diverse e mirate, a seconda del tipo di sito, per prevenire estinzioni locali o per contenere le specie invasive.

A cosa serve tutto questo?

Il risultato diretto e' praticamente ininfluente. I dati di partenza (lo ricordo, l'ultima carta ittica risale a circa 12 anni prima dello studio) sono vecchi e non si puo' basare nessuna raccomandazione con valore pratico nell'immediato quando non si hanno informazioni aggiornate. In effetti, alcuni dei siti analizzati hanno visto la scomparsa completa delle specie autoctone nel frattempo.

Pero' questo studio dimostra che esistono strumenti in grado di identificare le cause della perdita di biodiversita', classificarle in base alla significativita' e infine prioritizzare le azioni di conservazione. Strumenti che sarebbero applicabili anche ad altri casi e utilissimi, se mai se ne volesse far uso.

Riferimenti bibliografici:

Milardi et al. 2018 Run to the hills: exotic fish invasions and water quality degradation drive
native fish to higher altitudes. Science of the Total Environment
(link alla pubblicazione, purtroppo questa volta non liberamente disponibile)

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