mercoledì 12 maggio 2010
Catch&Release - il luccio, un caso esemplare
Articolo modificato dopo la pubblicazione iniziale
Ultimamente il Catch& Release, ovvero la pratica della pesca e del rilascio del pescato (vivo), ha preso decisamente piede tra i praticanti della pesca sportiva. Tranne alcuni casi particolari (come quello sopra riportato) il pescatore moderno cerca la sfida con il pesce invece di qualcosa da portare a tavola.
Il catch&release e' sicuramente il modo piu' sportivo di confrontarsi con la preda e rappresenta il culmine della pesca sportiva.
Questa pratica offre numerosi vantaggi dal punto di vista ambientale e dal punto di vista del pescatore. Ma siamo sicuri che sia sempre la strategia di gestione migliore? Quali altre regolamentazioni possono essere imposte dalle amministrazioni o dall'etica personale dei pescatori?
Cerchiamo di capire quali sono le varie alternative disponibili nella gestione della pesca sportiva e di valutare i loro effetti, prendendo ad esempio il caso del luccio.
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giovedì 6 maggio 2010
Luccio - dall'uovo alla schiusa
Per rendere il discorso luccio piu' interessante ho pensato di seguire non solo un filo logico ma anche una sequenzialita' temporale legata al tempo reale. Almeno riferito alla situazione locale.
Se pertanto nella puntata precedente avevamo visto come stava andando la frega (iniziata un paio di settimane fa e in conclusione proprio in questi gioni) oggi proveremo a vedere cosa sta succedendo alle prime uova deposte, fra qualche settimana parleremo degli individui giovani e cosi' via.
Per ora seguiamo l'avventura delle uova.
lunedì 3 maggio 2010
Luccio - vita, morte, miracoli
Premessa: adoro le photoshoppate fatte male, hanno un gusto tra il kitch e l'orrido che mi soddisfa, eppoi stimolano l'ironia.
Con questo articolo vorrei comnciare una serie un po' discontinua che riguarda il luccio, il mio pesce preferito quando si parla di pesca sportiva.
Per raccontare una bella storia, mi dicevano alle elementari, bisogna partire dall'inizio. Nonostante mille libri e film abbiano poi smentito questo principio vorrei partire lo stesso dal principio. Quindi:
C'era una volta..
Con questo articolo vorrei comnciare una serie un po' discontinua che riguarda il luccio, il mio pesce preferito quando si parla di pesca sportiva.
Per raccontare una bella storia, mi dicevano alle elementari, bisogna partire dall'inizio. Nonostante mille libri e film abbiano poi smentito questo principio vorrei partire lo stesso dal principio. Quindi:
C'era una volta..
lunedì 26 aprile 2010
Intervallo
Intervallo. O forse no.
Volevo un argomento leggero, tanto per staccare, e invece mi sono ritrovato a scrivere di uno dei piu' grossi problemi mondiali.
Overfishing. Cioe' il fatto che negli ultimi 100 anni abbiamo aumentato esponenzialmente la nostra capacita' di raccogliere pesce dal mare fino a far collassare gli stock delle prede piu' importanti. Cioe' rendersi conto che i 2/3 del pescato sono buttati (morti) perche' la pesca non e' selettiva. Cioe' rendersi conto che un ritmo del genere non e' sostenibile e rischiamo un collasso completo dell'ecosistema marino.
Produciamo abbastanza cibo da nutrire tutta la popolazione mondiale ma poco meno di 1/6 di essa (1 miliardo di individui) muore comunque di fame. Perche?Distribuzione ineguale.
Piu' o meno il discorso del pesce d'allevamento contro il pesce catturato nei mari.
Fish farming. Generalmente effettuato dando da mangiare sfarinati di pesce o di pollame. Nonostante i tassi di conversione molto elevati (anche 2,5:1) si tratta sempre di convertire una risorsa naturale in una artificiale, con relativa perdita.
L'idea di base e' la stessa della pesca intensiva (e dell'industria e dell'agricoltura etc.) cioe' che si cerca di fornire un prodotto a un prezzo sempre piu' basso.
Il problema e' che con questo sistema non si nutre la maggior parte della popolazione come sarebbe naturale credere ma si finisce soltanto per sovrasfruttare le capacita' dell'ambiente. In parole povere prendere acciughe in Argentina per fare salmoni pregiati in Norvegia.
Solo 4 note per cominciare a riflettere..
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martedì 20 aprile 2010
Siluro: contenimento e rimozione
Questo posto e' l'ultimo (per ora) della serie dedicata al siluro ed e' anche sicuramente il piu' difficile da scrivere. La questione e' veramente spinosa e coninvolge problematiche di diversi settori, parlarne equivale a buttarsi in un ginepraio da cui e' difficile uscire indenni. Tanto piu' che a parlarne schiettamente si e' praticamente obbligati a pestare parecchi piedi, i cui proprietari non saranno certo contenti.
Ma almeno non avendo nessun interesse e nessun rapporto di lavoro in Italia, ne' con un lato ne' con l'altro, mi posso permettere di parlare senza peli sulla lingua.
Nei post precedenti abbiamo visto che tipo e quanto impatto ha un siluro sull'ambiente in cui viene introdotto. Ora non resta che decidere cosa fare a riguardo. Facile, direte voi.
E invece no.
Vediamo perche'...
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Siluro: valutazione d'impatto
Felice Mauri ritratto con un siluro record di 2,60 m per circa 150 kg di peso. Pescato nel Lago Azzurro di Peschiera Borromeo nel maggio del 2008.
Immagine forse un po' cruda per introdurre un articolo altrettanto crudo.
Quando si parla di siluro non e' facile restare imparziali. I numeri sono numeri e in quanto tali non portano colpa, per questo nei primi due articoli mi sono limitato ad elencare le informazioni disponibili e i metodi con cui queste informazioni vengono ottenute.
Ma c'e' un punto in cui oltre alle considerazioni di tipo teorico occorre anche tirare delle conclusioni. Queste conclusioni devono essere necessariamente derivate dai dati e non devono essere affette (nei limiti del possibile) da considerazioni accessorie.
Quindi, che impatto ha un siluro sull'ambiente?
Non esiste una guida generale sul "come" fare una valutazione dell'impatto di una nuova specie in un ecosistema. Forse semplicemente perche' l'intera comunita' scientifica e' concorde nell'affermare che ogni specie alloctona ha un impatto negativo sull'ambiente. E questo vale non solo nel caso dei pesci ma di tutti gli organismi viventi. E' un principio talmente generale e talmente accettato che si e' tradotto in leggi ferree sulla diffusione delle specie in praticamente tutti gli stati avanzati, Italia compresa.
L'idea di un diverso approccio alla valutazione d'impatto, come per esempio proposta dall'amico Nicola Fortini di Firenze, basata sull'impatto diretto su specie a rischio e' talmente restrittiva da risultare inefficace nella maggior parte dei casi. Dimostrare un impatto diretto e fatale su specie a rischio normalmente comporta l'osservazione della colonizzazione per un numero di generazioni sufficiente, cosa che di solito pero' comporta anche l'eventuale sparizione della specie a rischio.
Seguendo questo principio pero' si arriverebbe a dei paradossi.
Per fare un esempio concreto: in popolazioni gia' compromesse e con specie autoctone presenti anche in altri bacini (quindi non a rischio) sarebbe lecito fare immissioni indiscriminate.
Pertanto, di norma, si preferisce agire con un principio cautelativo. Cioe' la non-pericolosita' deve essere dimostrata scientificamente prima di autorizzare un'introduzione.
C'e' comunque un modo per valutare che tipo di impatto ha il siluro sugli ecosistemi in cui viene introdotto. Ed e' quello di esaminare le sue caratteristiche autoecologiche cioe' il modo in cui si accresce, si riproduce, si alimenta etc.
- La sua resistenza ad un ampio spettro di parametri di qualita' dell'acqua quali temperatura, ossigeno disciolto ed inquinanti lo rende virtualmente immune dai maggiori problemi presenti nelle acque italiane, cioe' l'inquinamento, le asciutte e l'eutrofizzazione.
- Il suo rapido accrescimento grazie anche alle temperature dell'acqua (arriva a maturita' in soli 2-3 anni, alla misura di circa 70 cm) lo mette al riparo dalla predazione da parte di altri pesci o uccelli e gli permette di riprodursi relativamente presto.
- La sua dieta e il quantitativo di cibo ingerito (vedi i due articoli precedenti) lo rendono un predatore al top della catena alimentare, capace di influenzare le biomasse delle altre specie ittiche (e non) presenti.
- La sua attivita' notturna lo rende un predatore prima sconosciuto nelle acque italiane. Altri predatori notturni come la bottatrice, il pescegatto e l'anguilla non hanno uno spettro alimentare cosi' ampio.
In generale queste caratteristiche, unite alla capacita' di colonizzare praticamente qualsiasi nicchia ecologica lasciata scoperta o di scavarsi una nuova nicchia nell'ecosistema sottraendo risorse alle specie autoctone , sono le ragioni per cui molti scienziati temono l'introduzione di questa specie. Oltre ovviamente alla diffusione di virus e infezioni, comune a tutti i movimenti di specie.
Il siluro dunque ha un impatto diretto sull'ambiente sia come predazione diretta di alcune specie (fino a diventare il predatore al top della catena alimentare) sia come competizione per le risorse alimentari (dato l'ampio spettro di nutrizione).
Di sicuro il siluro non e' in grado di "mangiarsi tutti i pesci del lago" come sostengono alcuni. Potrebbe essere pero' in grado di ridurre drasticamente (fino al collasso) degli stock di specie gia' afflitte da altri problemi e in ogni caso di ridurre l'abbondanza delle altre specie. Semplicemente perche' un dato ecosistema puo' supportare soltanto una certa biomassa e ogni nuovo commensale porta via una fetta della torta agli altri, specialmente un predatore.
Se, dunque, il siluro ha un impatto sull'ecosistema cosa si puo' fare a riguardo? Questo sara' il controverso argomento del prossimo post.
Bibliografia (in ordine sparso):
Copp et al. 2009
Bianco P.G. (vari articoli e comunicazioni personali)
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giovedì 8 aprile 2010
Ma cosa mangia un siluro?
Se qualcuno non si era addormentato leggendo il post precedente allora potrebbe trovare anche questo post di suo gradimento.
Perche' se dall'altra parte siamo arrivati a stabilire con un certo grado di incertezza quanto mangia un siluro la domanda che viene piu' naturale farsi dopo e' :
Cosa mangia un siluro?
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