lunedì 14 marzo 2011

La percezione del dolore nei pesci e il Catch&Release

Un uomo all'amo. Questa immagine shock fu usata durante una campagna contro il fumo in America.

La lettura di questo articolo segue idealmente quella della puntata precedente: Hai la memoria di un pesce rosso.

Nel precedente articolo abbiamo visto come i pesci siano in grado di memorizzare eventi e luoghi. Sono cioe' in grado di associare, per esempio, la presenza di cibo in un luogo particolare o la sicurezza di un rifugio alla presenza di un predatore. E poi di richiamare il ricordo quando necessario.

Non c'e' granche' da stupirsi, se un animale e' in grado di sopravvivere e riprodursi in un ambiente ostile vuol dire che e' dotato degli apparati sensoriali necessari allo scopo. Deve essere dotato quindi di sensori che lo mettano in grado di interagire con l'ambiente circostante e di capacita' cognitive almeno sufficienti a permettere delle risposte adeguate agli stimoli sensoriali esterni.
Meglio ancora se oltre alle risposte immediate e' in grado di imparare ad evitare situazioni dannose e invece ricercare attivamente situazioni da cui trae beneficio. Anche una lumaca e' in grado di farlo ed abbiamo visto che la memoria dei pesci non e' poi cosi' limitata come si pensava.

Come reagiscono pero' i pesci alla pesca sportiva? Provano dolore alla puntura di un amo? E la cattura e il rilascio provocano uno stress al pesce?

Vediamo di scoprirlo assieme..

Innanzitutto e' meglio precisare perche' queste sono domande importanti.
Per molti anni si e' ritenuto che i pesci non fossero in grado di percepire il dolore, tant'e' vero che la stragrande maggioranza delle nazioni ha delle leggi che limitano i metodi di soppressione di animali da allevamento ma nessuna di esse ha dei protocolli che riguardano i pesci. Soltanto in tempi recenti ci si e' cominciati a porre il problema della percezione del dolore nei pesci.

Questo deriva da questioni etiche relativamente nuove che si interrogano sull'impatto delle attivita' umane sulla fauna selvatica ma anche da movimenti per l'abolizione dell'allevamento e i diritti animali. Alcuni di questi movimenti, abbastanza paradossalmente, hanno portato all'instaurazione di leggi che obbligano alla soppressione del pescato (alcuni cantoni della Svizzera).

Obbligo di soppressione del pescato in Svizzera e le relative istruzioni per farlo in maniera piu' "umana" possibile.

La questione, anche se la maggior parte dei pescatori non se la pone, e' dunque abbastanza importante ma e' altrettanto facile da dirimere?

In linea teorica basterebbe vedere se i pesci sono dotati dei recettori necessari all'esperienza del dolore, se questi sono collegati tramite nervi al cervello ed infine se quest'ultimo reagisce alla stimolazione di questi recettori con delle risposte che possiamo identificare univocamente.
Molto piu' semplice a dirsi che a farsi.

Vediamo di fare una cronistoria degli studi in materia e poi, se possibile, trarne alcune conclusioni.

Verhejen e Buwalda nel 1988 fecero un pamphlet in olandese che venne salutato come la prova conclusiva che i pesci provano dolore durante la cattura. Gia' nel 1987, l'etologo italiano Bruno D'Udine ne da' un resoconto nella rubrica Tuttoscienze sul giornale La Stampa. Questo resoconto e' tutt'ora disponibile sul sito dell'ENPA.

James Rose nel 2002 compila una revisione della letteratura in merito per concludere che i pesci non sono in grado di provare dolore nel senso che, pur presentando reazione a stimoli negativi esterni, la reazione viene espletata a livello inconscio e da riflessi basali/spinali. Secondo Rose i pesci non hanno abbastanza nociocettori e il cervello dei pesci, mancando di neocorteccia (esclusiva dei mammiferi), non e' in grado di interpretare emotivamente paura e dolore.

Questa visione e' stata confrontata da uno studio del gruppo di lavoro di Laura Sneddon nel 2003. Il gruppo della Sneddon ha identificato inequivocabilmente dei nociocettori nella bocca dei pesci e sottolineato come si creino delle risposte comportamentali associate al dolore fisico.

Da allora sono state scritte molte revisioni della letteratura in merito e granid nomi si sono schierati a favore dell'una o dell'altra tesi.
Arlinghaus ed altri del suo gruppo hanno scritto alcuni articoli sposando la tesi di Rose. Altri sostenitori di questa tesi sono Bruno Broughton e l'italiano Ivano Confortini.
Huntingford ed altri autori pero' hanno sostenuto e sostengono la validita' della tesi di Sneddon.

Nel 2009 esce un altro articolo sperimentale firmato da Nordgreen e il suo gruppo di lavoro. Stavolta si usa il pesce rosso come organismo modello e si testa l'effetto della temperatura e di analgesici che dovrebbero aumentare la soglia del dolore. La loro conclusione e' che i pesci sono in grado di provare dolore.

Il metodo di pesca tradizionale con la tonnara, un metodo piuttosto cruento ma ancora in voga


Queste tesi abbastanza opposte sono state al centro di un intenso dibattito che dura ancora al giorno d'oggi, dibattito che si basa per lo piu' su nozioni astratte piuttosto che su esperimenti diretti e per un motivo molto semplice: non si puo' misurare la coscienza.

Come dirimere la questione dunque? Possiamo almeno rispondere alle domande iniziali?

Come reagiscono i pesci alla pesca sportiva?
Nei limiti della loro memoria i pesci tenderanno ad evitare una ricattura da parte del pescatore, identificandola come un'esperienza negativa.

Provano dolore alla puntura di un amo?
Si, almeno nel senso di essere in grado di percepire lo stimolo negativo dell'amo e di utilizzare reazioni specifiche a quello stimolo.

E la cattura e il rilascio provocano uno stress al pesce?
La cattura ed il rilascio provocano uno stress fisiologico misurabile, stress che viene ricordato dal pesce e ne modifica il comportamento.

Occorre a questo punto distinguere i livelli della questione:

- I pesci sono capaci di evitare stimoli negativi esterni
Su questo punto tutti gli scienziati concordano.

- I pesci riescono a ricordare tali stimoli ed agire di conseguenza
Anche su questo punto tutti gli autori concordano, c'e' capacita' di memoria e di modifiche nel comportamento per evitare questi stimoli negativi. Svariati studi riguardano per esempio l'evitare l'alimentazione con pesci provvisti di spine difensive, non in senso assoluto ma almeno relativo.

- I pesci provano dolore
Siccome la sensazione del dolore dipende dallo stato di coscienza dell'animale e' su questo punto che gli autori si dividono. Per alcuni autori non c'e' e non ci puo' essere coscienza senza una neocorteccia. I pesci, essendone privi non potrebbero essere coscienti e di conseguenza nemmeno provare dolore secondo questa accezione.

Di sicuro non possiamo farne una questione di opinione o di sostenitori. Non possiamo metterci a contare gli scienziati pro o contro una certa idea e soppesare le loro qualifiche per poi arrivare ad una conclusione. Se possibile la scienza non dovrebbe essere una questione di democrazia ma piuttosto di esperimenti e descrizioni della realta' piu' o meno valide.

In mancanza di uno strumento fisico per misurare la coscienza di una specie e' quasi impossibile dare una risposta completa alla domanda fondamentale di questo articolo.
Se fosse vera la tesi di Rose, cioe' che senza la neocorteccia e' impossibile provare vero dolore, solo i mammiferi ne sarebbero capaci. L'ipotesi che viene avanzata da alcuni e' che le funzioni della neocorteccia siano espletate, almeno in parte e chissa' a che livello, da altre parti del cervello, consentendo ai pesci, come a tutti gli altri animali, di avere una forma di coscienza dell'ambiente circostante e dei suoi stimoli. Cosi' come la memoria emozionale risiede nell'amigdala nei mammiferi e la sua funzione viene espletata omologamente dal pallio medio-laterale nei pesci.

Si puo' affermare con sicurezza che difficilmente nel giro della prossima generazione potremo dirimere la questione della coscienza o meno degli animali. Qualche generazione addietro eravamo nella stessa situazione per quanto riguardava le operazioni chirurgiche sui neonati (venivano fatte senza anestesia) che pur sono anatomicamente molto piu' simili a noi.

Un'immagine satirica, giusto per sdrammatizzare, l'effetto e' dato dall'illuminazione particolare dell'occhio


Non potremo sapere dunque quali sono i sentimenti e le emozioni che prova un pesce; se provi paura e dolore durante la pesca o anche solo al suo ricordo. Le evidenze sperimentali ci dicono solo che i pesci, come altri animali, sono in grado di percepire gli stimoli negativi e di rispondere di conseguenza (imparando ad evitarli, almeno per quanto la loro memoria consente).

Per alcuni avere tutta la serie di reazioni relative al dolore che abbiamo in altri animali e' motivo sufficiente per estendere gli stessi concetti di animal welfare anche ai pesci. Per altri no.

Sicuramente, pur essendo cosciente del danno che provoco ai pesci durante l'attivita' di pesca sportiva non penso che smettero' di farlo, coscienza o meno. Anche sapendo che e' un danno che infliggo solo per il mio divertimento e non per stretta necessita'.
Catturo e rilascio il pesce per un mero fattore egoistico (prendere piu' pesci di taglia maggiore) piu' che per una questione etica (non uccidere) e d'altra parte non sono vegano..

Spetta ad ognuno fare le proprie scelte ed essere coscienti delle relative conseguenze. Almeno spero di aver fatto un po' piu' di chiarezza con questo articolo.

Bibliografia:
Huntingford et al. 2006
Arlinghaus et al. 2007 RevFishSci
Arlinghaus et al. 2007 FishFish
Verheijen & Buwalda 1988
Sneddon et al. 2003
Rose 2002
Nordgreen et al. 2009

19 comments:

Fabio Sebastiani ha detto...

Post molto interessante che riesco a leggere solo ora purtroppo.
Chiarificatore in molto punti (devo dire che ero rimasto parecchio indietro). Mi dà da riflettere su alcune convinzioni personali. Non sono un gran pescatore, anzi credo di essere negato, ma penso sia possibile applicare tutto il discorso anche alla cattività cui sono sottoposti in acquario. Con la differenza che in acquario lo stress può essere in alcuni casi più intenso e comunque prolungato per anni e non per il poco tempo della cattura.

Marco Milardi ha detto...

In effetti la questione e' spinosa e con questo post ho solo cercato di fare chiarezza su quello che al momento e' stato studiato e su quali siano le diverse opinioni nel campo.
Sperando di aver mantenuto una visione imparziale nel complesso.

Nel caso dell'acquario, come in quello della pesca, facciamo fatica a definire quale possa essere lo stress a cui va incontro il pesce. Certo esiste tutta una serie di reazioni che noi associamo allo stress (nei ritmi fisiologici e nel comportamento) ma non sappiamo se questa associazione ha valore assoluto e a che livello lo abbia o se ci sia qualcos'altro che ci sfugge perche' non abbiamo gli strumenti per capirlo.

Anche quando un animale mostra una reazione al dolore provocato dalla puntura di un amo, stress durante la cattura e una memoria "negativa" dell'accaduto e' ancora difficile stabilire se si tratti di meccanismi automatici o coscienti.

Omar Monni ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Marco Milardi ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Roberto 'Skazz' Merciai ha detto...

Guardate questo:
http://fcmconference.org/img/CambridgeDeclarationOnConsciousness.pdf

Anonimo ha detto...

L'articolo è molto interessante, sono un acquariofilo da ormai 22 anni e trovo assolutamente affascinante il mondo dei pesci, non solo il loro mondo esteriore ma il mondo interiore dei pesci. Attraverso l'esperienza diretta l'occio umano diventa come uno strumento che misura la coscienza degli animali, detto questo partiamo dal presupposto che tutte le forme di vita sono dotate di una seppur minima parte di coscienza, il fatto della neocorteccia è una teoria che fallisce fin da subito, in quanto i polpi, che sono molluschi, non sono dotati di neocorteccia, eppure dimostrano attraverso esperimenti di essere dotati di molta intelligenza e di essere coscienti di se. Riguardo il dolore, ve lo posso garantire che i pesci sentono molto bene il dolore e non si tratta affatto di una forma di riflesso come ad esempio accade con molte specie di insetti.

Marco Milardi ha detto...

Prossimamente dovrei anche riuscire a pubblicare il secondo articolo di questa serie, che aggiunge qualcosa sul piano dell'aggiornamento agli ultimi sviluppi.

Anonimo ha detto...

Salve, sono un ragazzo di 23 anni amante degli animali, personalmente credo senza bisogno di studi particolari o altamente scientifici che basta poco per capire che ogni essere vivente in quanto tale è in grado di percepire del dolore e/o emozioni. Vedi le ultime scoperte a proposito della botanica, dove le piante sentirebbero dolore al taglio dei rami o al loro strappare.
Sono stato anche io pescatore in passato, praticando la pesca nella mia ignoranza al tempo, riguardo al dolore sentito dai pesci.
La fatica del pesce e/o il relativo dolore posso presupporre che sia evidente nel momento in cui il pesce viene pescato, guardando l'accelerata respirazione e il modo lento in cui esso si allontana dalla riva una volta rimesso in acqua ( in questo caso molte persone pensavo che si stia riabituando al rientro in acqua, quando invece esso si sta gradualmente riprendendo dalle fatiche e dall'agitazione nel tentare di scappare alla lenza), molte volte la bocca risulta anche essere tagliata dal filo dove si ha presenza di sangue.
Ammetto che io amavo la pesca e la amo tutt'ora mi rilassava tantissimo stare seduto e concentrato aspettando che qualche pesce abboccasse, per non parlare della pesca notturna con starlight il top.
Ma sono giunto alla conclusione che per quanto mi divertisse e piacesse, non posso praticare un azione che provochi danni ad altri animali solo per divertimento, è incivile.
Ci sarà sicuramente un altro hobby per divertirsi.
Concordo pienamente con Omar, anche nell'esempio di civiltà più evolute di noi.
L'uomo dovrebbe innalzarsi eticamente e non peggiorare.
Ogni essere vivente va rispettato. Gli animali se avessero la capacità di parola e un intelletto sviluppato in grado di comunicare con noi, avendo così la possibilità di far valere i loro diritti e le loro idee, non ci sarebbero queste cose.
Una bellissimo slogan diceva:
Sentono come noi
Soffrono come noi
Non sono come noi (non sono cattivi come noi).

Marco Milardi ha detto...

Ciao , beh, non so come chiamarti, facciamo ragazzo 23enne. Ti ringrazio davvero per aver letto questo articolo e per averlo commentato.

Purtroppo io mi sono posto raramente domande a cui sono riuscito a dare risposta con poco.

Per me in questo caso, come in altri, quello che "appare evidente" o che "basta poco per capire" e' molto piu' inafferrabile.
E devo dire che e' cosi' anche per molti altri colleghi, altrimenti non ci sarebbe la discordanza che ho cercato di sottolineare nell'articolo.

Se vuoi prendila come una lezione che non sempre e' facile dimostrare rigorosamente agli altri quelle che a noi sembrano ovvieta'.

Anonimo ha detto...

Ciao, sono il ragazzo 23enne mi chiamo Paolo.
Volevo dire che è interessantissimo questo articolo perché mi permette anche di esporre le mie idee a riguardo, e di confrontarmi con altra gente, quindi ti ringrazio io di aver aperto questo articolo.
Tu dici che per te e altri colleghi la situazione appare più difficile da capire, però senza offesa a mio avviso non si vuole percepire la realtà delle cose per quello che sono.
Ogni uomo è intelligente abbastanza per capire e nessun uomo è stupido.
Al massimo si può definire INGNORANTE, ma non inteso come offesa o parolaccia, ma nel senso che ignora l'evidenza delle conseguenze che quell'azione crea.
Non sono uno scienziato ma ripeto che ogni essere vivente prova emozioni, dolore , gioia che per ogni specie vivente viene espressa a suo modo.
I pesci non hanno la possibilità di urlare e l'uomo pensa quindi che essi non soffrano, se avessero tale possibilità e urlassero durante una battuta di caccia il 50% dei pescatori smetterebbe di pescare.
E l'altro 50% lo considererei sadico.
Ignora il dolore di un altro essere vivente per divertimento e egoismo e non c'è nulla di più sbagliato.
Una bellissima frase del Dalai Lama dice:
ogni essere vivente, cerca la felicità che sia uomo o un piccolo animale, per il semplice fatto che la felicità sta dentro di ognuno di noi.

Marco Milardi ha detto...

Ciao Paolo, come cercavo di dire nel mio precedente messaggio quello che a te appare evidente puo' non esserlo per gli altri.

Che ogni essere vivente provi emozioni, dolore, gioia e' un postulato che e' valido per te ma potrebbe non esserlo per molta altra gente.

Come faresti a dimostrarlo ad altre persone a cui non basta il "lo dico io" come prova?

Questo e' quello che cercano di fare gli scienziati: trovare prove e dimostrazioni rigorose di una teoria che ci aiutino a capire un po' meglio come funziona realmente il mondo.

Ognuno lo fa a suo modo, e come penso di aver illustrato nell'articolo finora abbiamo prove che vanno sia nell'una che nell'altra direzione. Non c'e' un consenso o una prova definitiva, per ora.
Quindi in un certo senso si', siamo ignoranti, perche' non abbiamo ancora stabilito un metodo univoco e definitivo per misurare quello che e' sfuggente per natura.

Anonimo ha detto...

Alla gente e agli scienziati fa comodo non sapere la verità immediatamente.
Lo scienziato porta avanti le sue ricerche, assicurandosi lavoro per anni, alla gente invece fa comodo portare avanti la sua idea, convinta del suo ben operato.
Un cane a cui viene schiacciata una zampa emette grida, un coniglio che non emette suoni normalmente, se gli viene schiacciata una zampa emette un piccolo grido, un passero cinguetterà forte se gli viene recato dolore fisico, quindi un pesce da cosa si differenzia da un animale terrestre o acquatico? Sono convinto di quello che dico e verrà dimostrato.
Un salmone mangiato da un orso appena pescato perché si agita e sbatte a terra?
Perché prova dolore fisico.
Ma se la gente continuerà per i suoi scopi a fare finta di niente il mondo non cambierà mai

Marco Milardi ha detto...

Cioe' non sapresti nemmeno tu dimostrarlo, al di la' di alcuni esempi empirici.

Ma preferisci credere al complotto della lobby degli scienziati che potrebbero scoprire tutto subito ma invece si assicurano la carriera a vita.

Ma lo sai che se qualcuno dimostrasse una cosa del genere vincerebbe titoli e premi e non gli mancherebbe mai il lavoro? Altro che assicurarsi la carriera..
Perche' non lo fa?
Perche' gli altri colleghi lo ucciderebbero? E perche' lasciano provare persone come la Sneddon e altri no? Favoritismi? O sono tutti d'accordo?

Siamo seri, dai.

Dovresti dire: "sono convinto di quello che dico e ve lo dimostrero'!" non aspettare che lo facciano gli altri (che secondo la tua teoria del complotto non potrebbero o non lo farebbero mai).

Se inoltre ti fermi un attimo a riflettere il tuo ragionamento e argomenti potrebbero essere traslati pari pari in altri settori (teologico, sociale).
Lascio a te ed ai lettori fare il paragone e trarre le opportune conclusioni.

Anonimo ha detto...

Rispondo un ultima volta e concludo,
sono convinto di questo fatto ma non ho gli strumenti e non ho studiato per dimostrare ciò, ma chiunque ha letto e ha capito, sa cosa intendo.
E in tutti i casi come qualsiasi cosa che non sia inerente con la nostra cultura o con il nostro modo di pensare ci sarà sempre un complotto che terrà nascosto tutto, perché l'uomo ha paura di sapere la verità.
L'uomo ha timore di cose che non conosce, l'uomo ha paura di cambiare le proprie abitudine e le proprie routine.
Questo discorso può essere collegato a qualsiasi argomentazione.
Come uno che si droga, conosce benissimo le conseguenza ma nella sua convinzione continua a farlo, fino al momento in cui sarà troppo tardi, e uno che si diverte a spese di animali innocenti sapendo di recargli danno, continuerà a fargli del male.

Marco Milardi ha detto...

Spero che esternare le tue convinzioni ti sia servito a qualcosa.

Non dico a cambiarle, visto che non e' mai stata mia intenzione, ma quantomeno a realizzare di cosa si tratta.

Per fortuna la vita non e' tutta un complotto.

Anonimo ha detto...

Ho ribattuto e partecipato a questa conversazione in quanto, è un confronto diretto tra me ( che appoggio l'idea che i pesci sentono dolore) e te ( che difendi l'idea contraria), così i lettori che si fermeranno a leggere il nostro dibattito, potranno decidere quale idea appoggiare.
Comunque rispetto chiunque si contrario alla mia idea compreso te, perché il rispetto non deve mai mancare.

Marco Milardi ha detto...

Ciao Paolo, se rileggi bene i miei commenti (e anche l'articolo) la mia idea non viene espressa, o almeno ho cercato di non esprimerla.

Tanto e' vero che l'idea che mi attribuisci non e' quella che ho.

Quello che ho voluto fare e' stato mettere l'accento sui metodi impiegati, sul confronto e sulle informazioni disponibili, non sul far decidere ad un ipotetico lettore quale idea appoggiare.

:)

Grazie della discussione e buona serata! Ti invito, se ti va, a leggere anche il secondo articolo di questa serie, pubblicato qualche tempo dopo con gli aggiornamenti. Lo trovi qua:
http://paperfishbiology.blogspot.fi/2013/02/la-percezione-del-dolore-nei-pesci.html

Ottaviano ha detto...

Ho letto con attenzione il dibattito sul dolere si / dolore no. Perchè sono finito qui? Fondamentalmente da pescatore quale sono arriva un momento nella vita nel quale ti chiedi se sia lecito uccidere un essere vivente per provare l'ebrezza della cattura , anzi mi sono spinto anche oltre chiedendomi se anche la camola che infilzo all'amo possa provare una qualche forma di dolore.Ho provato a darmi delle risposte ma, no possedendo specifiche conoscenze di biologia non ho potut che affidarmi ad una mia personalissima e per certi versi solomonica soluzione. La prima cosa che tengo a precisare e che concettualmente non capisco la pesca " catch and release". Non la capisco perchè per me cacciare come pescare risponde a dei bisogni primitivi dell'uomo. In sintesi se uccido un essere vivente lo devo obbligatoriamente mangiare e non devo ucciderne più di quelli necessari per sfamarmi. Questa conclusione a cui sono giunto contiene di per sè gia la risposta al quesito iniziale, i pesci provano dolore, Nonso se questo sia logico o meno , ma non avendo altri termini di paragone ho ragionato in modo antropocentrico concludendo che si, a me un'amo in bocca non farebbe piacere! Lo so che oggi non è necessario cacciare o pescare per sfamarsi, ma se non si vuole diventare vegetariani o vegani credo sia meglio uccidere di persona e non lasciarlo fare ad altri allevando animali in veri e propri lager dove l'unico metro di giudizio è il profitto. Non voglio parlare di eticità perchè a qualcuno quello che scrivo potrebbe anche disturbare , credo però che molte persone mangino non pensando che " quella cosa" che masticano sia stata un essere vivente... Magari se si raggiungesse questa consapevolezza ci sarebbe anche meno spreco di cibo... quando senti una vita spegnersi nelle tue mani non puoi che nutrirtene altrimenti il suo sacrificio sarebbe stato inutile. Io sono arrivato a queste conclusioni e agisco di conseguenza. Ritengo però che non bisognerebbe agire per sensazioni ed è per questo che continuo a chiedermi quanto un pesce o un animale meno evoluto di me possa provare sofferenza.Se qualcuno mi dicesse domani che il dolore è uguale o magari superiore a quello che potrei provare io magari smetterei di pescare o di mangiare carne.

Anonimo ha detto...

leggo cose un po' strane . . .
Qualcuno confonde il fatto che , essendo essere vivente , possa provare dolore fisico.
NO.
il dolore fisico e' legato a centri nervosi che trasmettono al cervello.
Se poi si vuol fare una filosofia del "dolore esistenziale" dell'anima di un pesce AH Beh allora mi taccio . . .

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