Shanghai con la sua cappa di smog. Io non riesco ad immaginare un ambiente piu' estremo in cui vivere, e voi?
"Piu' estremo di cosi' si muore" - il Veca ai tempi d'oro
Va ora in onda la 5a puntata del Carnevale della Biodiversita'. Stavolta parliamo di ambienti ed adattamenti estremi. Allacciatevi le cinture ed indossate il casco, si preannuncia un argomento movimentato.
Stavolta la lista completa degli articoli che partecipano alla 5a edizione si puo' trovare sul blog Theropoda di Andrea Cau. Come sempre e' anche disponibile una breve recensione per ognuno degli articoli partecipanti.
Spesso si dice che la vita e', in generale, molto difficile da estinguere. Certo ci stiamo provando in svariati modi e a volte con ottimi risultati ma la quantita' di esseri viventi (spesso a livello microscopico) che ancora prosperano sul pianeta non puo' che impressionare.
Praticamente la vita ha colonizzato tutto lo spazio disponibile. Dopotutto ha avuto quasi 4 miliardi di anni per farlo..non e' mica poco. Sono rimaste senza vita solo pochissime zone del pianeta, luoghi in cui temperatura, radiazioni o condizioni chimico fisiche non permettono lo stabilirsi di nessun organismo.
In altre zone la densita' di vita e' prossima allo zero ma nel tempo l'evoluzione ha selezionato organismi in grado di adattarsi a molte condizioni e questi, seppure non in gran numero, si sono diffusi anche in questi luoghi.
I pesci non fanno eccezione, se si considerano in senso allargato (assieme ai condroitti ed agli agnati) si puo' dire che abitano praticamente tutti gli specchi d'acqua del pianeta. Con pochissime eccezioni che andremo a vedere.
La convergenza
evolutiva è quel fenomeno per cui due organismi, non imparentati tra
loro, sviluppano adattamenti simili in risposta alle stesse pressioni
selettive. Certe somiglianze sono ingannevoli e rappresentano delle
belle gatte da pelare per i sistematici, ovvero gli studiosi che si
occupano di individuare le caratteristiche che accomunano le specie
viventi, al fine di determinarne la parentela. Un esempio clamoroso
di ciò è rappresentato dagli avvoltoi del vecchio e del nuovo
mondo: questi ultimi, comunemente detti condor, storicamente
erano considerati strettamente imparentati con i primi, benché
inseriti in una famiglia diversa. Non molti anni fa, però, uno
studio molecolare a dir poco rivoluzionario ha rivelato che le
somiglianze tra i due gruppi sono date solo da un mirabile caso di
convergenza evolutiva dovuta a stili di vita simili: gli avvoltoi
americani probabilmente non sono imparentati con le aquile, come
quelli del vecchio mondo, bensì con gli aironi e le cicogne,
pertanto sono stati inseriti, per quanto provvisoriamente,
nell'ordine dei Ciconiiformes!
Un ghiozzo padano, Padogobius bonelli
Uno scazzone europeo, Cottus gobio
Si potrebbero fare
molti esempi di questo tipo, ma adesso vorrei parlare di due specie
di piccoli pesci delle nostre acque, i quali spesso e volentieri sono
confusi dai meno esperti, nonostante non siano neanche lontanamente
imparentati tra loro. Sto parlando del ghiozzo e dello scazzone,
rispettivamente un perciforme ed uno scorpeniforme.
A dire il vero il
ghiozzo non è uno solo. La famiglia cui appartiene (Gobiidae) è
anzi quella che, tra i vertebrati, annovera in assoluto il
maggior
numero di specie (oltre 2000), diffuse in mare e, in minor numero, nelle acque dolci.
In questo caso però mi soffermerò sul genere Padogobius,
presente in Italia con due sole specie, P. nigricans (il
ghiozzo etrusco) e P. bonelli (il ghiozzo padano).
Gli scazzoni
appartengono ad una famiglia (Cottidae) anch'essa piuttosto vasta, ma
che comprende principalmente specie d'acqua marina. I cottidi d'acqua
dolce sono pochi: in Italia abbiamo il solo Cottus gobio,
diffuso in gran parte dell'Europa, al quale sono particolarmente affezionato in
quanto, essendo stato oggetto della mia prima tesi, è la
specie che mi ha avvicinato irreparabilmente al mondo dell'ittiologia.
Un bello scazzone dalla livrea giallo intenso. Sono ben visibili le pinne pelviche separate
(si ringrazia l'amico Giacomo Radi per le belle immagini concesse: le foto sono di proprietà esclusiva dell'autore e non possono essere utilizzate senza previa autorizzazione)
Visti da lontano,
e a dire il vero anche da vicino, ghiozzo e scazzone si somigliano
parecchio: testa grossa con bocca ampia, corpo a sezione circolare,
grandi pinne pettorali di forma discoidale, livrea screziata.
Anche la biologia di questi due pesci è molto simile: si tratta di
specie bentoniche che vivono tra le pietre del fondo, muovendosi a
scatti, senza nuotare per lunghi tratti. Si nutrono principalmente di
invertebrati ed occupano prevalentemente la parte alta dei
fiumi, nonostante lo scazzone sia molto più esigente dei ghiozzi in
fatto di temperature, purezza delle acque e tasso di ossigeno
disciolto. Lo scazzone inoltre ha abitudini crepuscolari o notturne,
mentre invece i ghiozzi sono principalmente diurni.
Le differenze
morfologiche comunque esistono e sono cospicue: le principali sono
l'assenza di scaglie nello scazzone ed il fatto che quest'ultimo
presenta pinne pelviche separate. Nei ghiozzi queste sono invece
fuse, a formare un organo adesivo che funziona come una ventosa per
aderire alle pietre, evidente adattamento alla vita in corrente.
Ciononostante,
visti in acqua dall'alto, i due potrebbero risultare difficili da
distinguere anche ad un occhio piuttosto allenato. E' evidente che
pressioni selettive simili hanno plasmato questi due organismi fino a
farli assomigliare molto, pur proveniendo da antenati molto diversi
tra loro (il ghiozzo è più imparentato col pesce spada che con lo
scazzone, se la sistematica attuale è corretta!).
Quello che, personalmente, più mi ha
colpito studiando la biologia di queste specie, è il fatto che perfino il comportamento riproduttivo si assomiglia in tutto e per tutto!
Un momento di... intimità tra due ghiozzi padani nel mio acquario. Notare le uova appese al soffitto.
Da oggi ho deciso: lotta dura agli articoli iniziati e mai finiti! Quindi da oggi vi beccate piu' o meno regolarmente tutti gli articoli che sono rimasti in arretrato nella sezione draft del blog.
E non e' che siano in arretrato perche' poco meritevoli ma principalmente perche' le notizie che vorrei dare si rincorrono molto piu' velocemente di quanto non riesca a tradurle in articoli sensati.
Ormai un anno fa aveva fatto scalpore (se non altro in Finlandia) la notizia della cattura di un pesce molto strano sulla costa ovest del paese, a Pori per essere precisi.
Juha Heino, un pescatore locale, stava pescando a jig da riva quando si ritrovo' attaccato alla lenza un pesce che assomigliava molto ad un luccioperca lucioperca ma non lo era. Il pesce, lungo una ventina di centimetri, presentava una colorazione tipica del pesce persico ma un corpo ed una testa simili a quelle del luccioperca lucioperca. La bocca era completamente simile nella forma a quella del luccioperca lucioperca ma mancavano i grossi denti tipici della specie, sostituiti dai piccoli denti tipici del persico.
Una malformazione o un ibrido mai visto? Insomma un bel dilemma.
"Pesci" molto particolari
Molti biologi e naturalisti rimangono assolutamente affascinati al cospetto di bestiacce la cui visione farebbe inorridire chiunque. Personalmente sono orgoglioso di appartenere a questa categoria (quella dei naturalisti bizzarri, non degli animali orrendi, o almeno così spero) e fin dalla tenera età sono sempre andato in cerca di qualsivoglia organismo repellente si potesse trovare per boschi e fiumi. Tra tutti gli animali che si possono incontrare nelle nostre acque, quelli che maggiormente hanno esercitato su di me un fascino morboso sono probabilmente le lamprede. Viste da molto lontano potrebbero ricordare un'anguilla o una murena, a seconda delle specie, ma in realtà non c'entrano niente con le suddette (ricordo la lettera di un lettore, anni fa, rimasto perplesso e inorridito di fronte al ritrovamento di una lampreda, il quale domandava se si potesse trattare di un'anguilla mutante).
Per stabilire se le lamprede siano pesci o meno, basta mettersi d'accordo sulla definizione di “pesci”. Questa parola attualmente non ha più un valore sistematico, ma ovviamente rimarrà sempre nell'uso tradizionale ad indicare, generalmente, tutti i vertebrati non tetrapodi (tutti quelli che non ha quattro zampe, in linea di massima). Gli agnati, questa è la classe di appartenenza delle lamprede, sono privi di mascelle (in greco: a-gnatos = senza mascelle), di scheletro osseo e anche di vertebre vere e proprie. Il cranio è costituito un cestello di trabecole cartilaginose che forniscono una sostegno, per quanto molto flessibile, alla regione cefalica. Ciononostante esse sono da considerare vertebrati a tutti gli effetti, per via di altre caratteristiche che non sto qui ad elencare. Le lamprede, assieme alle ancor più strane missine, discendono direttamente dai primissimi vertebrati comparsi sulla terra quasi 500 milioni di anni fa, gli ostracodermi, gli stessi che in seguito hanno dato origine agli gnatostomi (vertebrati dotati di mascelle). La bocca delle lamprede ha la forma di un disco munito di numerosi denti cornei acuminati, apparato adibito all'adesione ai pesci ospiti che ha valso loro il nome di ciclostomi, cioè “dalla bocca circolare”. Le lamprede adulte infatti conducono per lo più una vita da parassiti su grandi pesci marini. Ai lati del capo, dietro gli occhi, si aprono sette camere branchiali in grado di pompare acqua in entrata ed in uscita. A differenza di quanto avviene negli altri pesci, la bocca non è infatti disponibile per l'ingresso di acqua quando è utilizzata per aderire all'ospite. Altre differenze rispetto agli gnatostomi sono la presenza di una sola narice, in posizione dorsale mediana, e l'assenza di pinne pari. Insomma, le particolarità di questi animali sono molte.
Per prima cosa ringrazio Marco della bella presentazione, anche se ora chissà quali aspettative vi sarete creati...
Per completare brevemente il mio profilo, aggiungo soltanto che di formazione sono naturalista, laureato con una tesi triennale sul Cottus gobio (altrimenti detto "scazzone", in onore del quale il mio pittoresco nickname...) ed una specialistica sul gambero di fiume italico. Attualmente sono al primo anno di dottorato presso l'università di Girona (Spagna) ed il mio lavoro di ricerca è incentrato sugli effetti di siccità e regolazione idrologica sulla fauna ittica. Ma la realtà è che resto pur sempre poco più che uno studente appassionato di pesca.
Ho accettato con entusiasmo la proposta di Marco per contribuire, compatibilmente con le mie competenze e con il poco tempo a disposizione, allo sviluppo del sito, per cui eccomi qua. Seguo il blog ormai da tempo, perché conosco chi ci scrive e devo ammettere che, nonostante Marco sia solo un giovane ricercatore, la sua cultura in materia non solo ittiologica, ma ecologica e biologica in senso lato, non ha niente da invidiare a quella di tanti esperti più navigati, anzi.
A questo punto la smetto di annoiarvi e passo al primo post, visto che è qui bello che pronto, un po' lunghetto a dire il vero, spero comunque non troppo pesante.
Buona lettura!
Come avrete sicuramente notato il numero e la frequenza dei post pubblicati negli ultimi mesi ha subito un drastico calo. Il motivo e' semplice: tanto e tanto lavoro.
Le idee non mancano ma spesso manca il tempo materiale di lavorarci e trasformarle in un articolo che sia decente. E come diceva sempre la mia mamma (e il Veca) o le cose le fai bene o meglio non farle.
A fine agosto dunque era arrivato il momento di prendere una decisione, lasciar perdere il blog o trovare un modo alternativo per continuare ad "erogare il servizio".
Ho sempre perso tanto tempo a leggere e scrivere su forum specifici ma in quel periodo mi colpi' il messaggio di un ragazzo che conoscevo (e conosco) solo per via telematica.
Roberto e' un ragazzo che come me dopo la laurea e' "dovuto" emigrare all'estero per completare i propri studi di dottorato e con cui condivido molti interessi, soprattutto riguardo al mondo della pesca e dei pesci. Allo stesso tempo siamo in due paesi molti diversi (e diversi dall'Italia) e non tutte le nostre opinioni coincidono (per fortuna). Anche per lui pero' l'impegno del dottorato stava diventando pressante e ha preso la decisione di staccarsi dai forum per non perdere tempo prezioso.
Ed e' li' che ho avuto l'idea di fargli perdere tempo a contribuire a questo blog!
Vuoi per fortuna, vuoi perche' bene o male Paperfish e' un progetto libero e senza schema, Roberto ha accettato ed ora e' entrato a far parte della redazione. Ora finalmente il blog si arricchira' di un nuovo punto di vista e sono sicuro non potra' che migliorare.
Sono tornato ieri notte dal mio tour of duty estivo. Bello, bello, bello. Faccio di sicuro il lavoro piu' bello del mondo (anche se di certo non il piu' pagato) e penso che pubblichero' quantomeno una serie di foto dei luoghi che ho visitato.
Ora non mi resta che rimettere in sesto i pezzi del blog (e della mia vita personale) che nel frattempo sono stati trascurati.Ci sono importanti decisioni da prendere all'orizzonte ed alcune di esse potrebbero avere pesanti conseguenze sulla continuazione del blog.
Oggi pero' non voglio preoccuparmi piu' di tanto ed invece mi concentro sulle ultime fatiche relative al corso di limnologia artica. La fortuna (ho lanciato una moneta) ha voluto che finissi nel gruppo dei macroinvertebrati acquatici assieme a molti dei miei ex-studenti.
Uno dei grandi assenti nelle nostre catture e' stata la larva (o ninfa/naiade a seconda della pignoleria) di libellula. Principalmente perche' la stagione era troppo avanzata a quelle latitudini (sottozero qualche notte in agosto).
Queste larve erano tra le mie preferite in gioventu' e facilmente reperibili nelle centinaia di pozze d'alpeggio a cui avevo accesso illimitato. Facili da allevare le tenevo in un terrario estremamente rozzo fino alla fase adulta.
Le parti boccali di una larva di libellula ed il loro funzionamento durante la predazione. Il labrum modificato viene esteso per catturare le prede
In compenso pero' sono riuscito a recuperare qualche larva di Sialis. Roba che non vedevo da un bel po' di tempo visto che la maggior parte di questi insetti non vive nelle mie zone d'origine (che di ontani nemmeno l'ombra).
Una larva di Sialis dalla Svezia.
Altrettanto impressionante nella capacita' di nuoto e di predazione, anche se gli adulti sono nettamente inferiori come predatori. In effetti mancando completamente di bocca vivono solo alcuni giorni.
Non preoccupatevi comunque, molto presto torneremo a parlare di pesci, come al solito.