Quando si parla di specie ittiche invasive, la nostra mente subito corre a
siluri, pesci gatto, aspi, barbi europei e quant’altro. Giusto. L’introduzione,
volontaria o meno, di queste specie,
spesso e volentieri ha contribuito a mettere in crisi le comunità ittiche delle
nostre acque interne.
Ma se spostiamo la lente d’ingrandimento su ambienti meno blasonati rispetto
ai grandi fiumi e laghi, in quanto meno produttivi dal punto di vista
pescasportivo ed economico, ci troveremo di fronte a ecosistemi estremamente
interessanti che, al pari di altri, non sono riusciti a sfuggire al problema
delle invasioni biologiche.
Gli stagni retrodunali sono oasi di biodiversità notevolissime, purtroppo in continua rarefazione |
Lungo le coste del Mediterraneo si trovano, laddove non siano avvenute
bonifiche selvagge, zone umide uniche e fragili, che rappresentano oasi di
biodiversità tra le più preziose in assoluto. Gli stagni retrodunali adiacenti
alle spiagge ospitano fauna e flora esclusive di questi ambienti per certi
versi estremi, tanto per riallacciarsi al recente post di Milo: si tratta di
paludi in cui quantità e qualità delle acque dipendono, a seconda delle
circostanze, dai tassi di evaporazione, dalle piogge, dalle mareggiate e dai
livelli delle falde acquifere sottostanti. Variazioni notevoli si riscontrano
anche nelle temperature, nel quantitativo di ossigeno disciolto, nella
concentrazione di nutrienti, eccetera. Tanto per citare gli esempi più noti, qui
possiamo incontrare piante adattate all’eccesso di sale nel suolo (alofite),
che hanno fatto del sodio il principale soluto intracellulare, come la Salicornia, oppure crostacei adattati
alle variazioni estreme di salinità delle acque, che per di più producono, per partenogenesi,
uova capaci di resistere per anni al disseccamento, come Artemia salina (ben nota agli acquariofili come cibo per pesci
“resuscitabile”).
Un bellissimo maschio di nono (Aphanius fasciatus) del Parco Regionale della Maremma (Gr) foto: Massimiliano Marcelli |
I ciprinodontidi, conosciuti anche come “killifish”, sono una famiglia di piccoli
pesci dai colori vivaci, che ha fatto dell’adattamento a questi ambienti,
inospitali alla maggior parte delle specie marine e d’acqua dolce, la chiave
del proprio successo evolutivo. L’origine della distribuzione attuale di queste
specie nell’area mediterranea si fa risalire al periodo Messiniano
(circa 5 milioni di anni fa), che vide il nostro mare andare incontro ad una
gravissima crisi di salinità, dovuta alla temporanea chiusura dello stretto di
Gibilterra, con conseguente parziale disseccamento del bacino. I ciprinodontidi
attuali mostrano infatti, come caratteristica più cospicua, una spiccata
eurialinità che li rende capaci di vivere e riprodursi tanto nelle acque dolci
e salmastre quanto in quelle iperaline, tollerando concentrazioni di NaCl fino
ad oltre 5 volte quella dell’acqua di mare. Il genere Aphanius è quello più diffuso nel mediterraneo, con tre specie distribuite
tra Europa, Nordafrica e Medioriente.